Case di sabbia, caserme pericolanti, chiese sfibrate, scuole vecchie, ospedali e municipi piegati dal tempo. Esiste un lungo elenco di edifici pubblici che, al Sud, non sopporterebbero gli effetti di un terremoto di media entità. È un dossier datato 1999 ma ancora attuale. Contiene ricerche e studi di esperti riuniti dall’allora sottosegretario alla Protezione civile, Franco Barberi, che hanno disegnato la mappa degli immobili da evitare in caso di crisi sismica. Dentro quei faldoni c’è davvero tutto quello che ogni amministratore locale dovrebbe sapere della sua terra. Un patrimonio di informazioni che avrebbe dovuto costituire le linee d’indirizzo per la messa in sicurezza dei territori maggiormente esposti ad attività sismica. E, invece, il rapporto-Barberi non è stato mai seriamente preso in considerazione né a livello di politica centrale, né regionale. Il motivo? I costi da affrontare per la mitigazione del rischio sismico sarebbero insostenibili. Del resto, per pianificare una strategia di intervento efficace per ridurre il deficit strutturale non si può prescindere da due indirizzi: quello tecnico e quello politico. Ma, in Italia, si preferisce l’altra strada, quella più economica del tirare a campare. E si tira a campare anche soprattutto sulla prevenzione anti-sismica. Si tengono incontri, convention, si convocano nomi illustri per informare, raccomandarsi sulle buone pratiche da seguire in caso di disastri. Ma nessun riferimento a investimenti per ridurre la vulnerabilità di case e palazzi di interesse pubblico. Nessuno pensa ai bambini delle scuole, ad esempio. O ai pazienti degli ospedali meno sicuri. E così si va avanti fin che si può. Addirittura, ci sono amministratori che non solo si rifiutano d’accettare le responsabilità proprie di chi governa, ma, addirittura, si impegnano, con scelte discutibili, ad esasperare il pericolo riempiendo di colate di cemento anche quelle aree sottoposte a vincolo. Poi, arrivano le calamità naturali, col loro carico di lacrime e di sangue, mettendo a nudo la fragilità umana, prima ancora di quella degli immobili insicuri. Gli esperti ripetono: il terremoto non uccide, sono i crolli a portare la morte.
Rischi che non si dovrebbero correre in quelle aree geografiche maggiormente esposte al pericolo di eventi tellurici come la Calabria. Allo studio, coordinato da Barberi, è stato attribuito un nome significativo: “Censimento di vulnerabilità degli edifici strategici e speciali nelle regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia”. Gli studiosi, selezionati dall’ex capo della Protezione civile, in un anno e un paio di mesi di ricerche, misero insieme i dati riferiti a poco più di 42mila edifici pubblici, schedati a seconda delle caratteristiche, della tipologia e della destinazione d’uso. Naturalmente, l’indice di vulnerabilità risulta strettamente collegato alla classificazione sismica del territorio nel quale è inserito. Ogni sindaco ha ricevuto nel 2001 una copia di quello studio. In quindici anni nessuno, però, lo ha adottato nelle scelte di indirizzo politico.
In Calabria, gli immobili passati al setaccio sono stati, complessivamente, 10.819, nei 409 comuni censiti. Per poco meno della metà (esattamente per 4.169 strutture), gli esperti hanno rilevato importanti deficit di natura strutturale. Ben 2.382 edifici sono stati catalogati come a rischio “medio alto”, altri 1.787 risultano ad elevato rischio. Questi palazzi ospitano di tutto. Ci sono ospedali, sedi di municipi, presidi delle forze dell’ordine, caserme dei vigili del fuoco, luoghi d’istruzione. Soprattutto scuole, scuole materne. Eppure, quei numeri restano imprigionati dentro le carte di un rapporto, forse non più aggiornato, ma che continua ad essere sistematicamente ignorato da chi governa. Di tanto in tanto, però, la terra si risveglia per ricordarci che le tragedie arrivano all’improvviso.
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Focus
La classificazionedelle strutture
In Calabria, dei 10.819 edifici censiti, ben 712 risultano di edificazione antecedente al 1919; 957 realizzati tra le due guerre; 1.487 risalenti al periodo compreso tra il 1946 e il 1960; 2.600 tra il 1961 e il 1971; 1.588, tra il 1972 e il 1975; 1.410 realizzati tra il 1976 e il 1980; e 2.028 costruiti dopo il 1980. Per quanto riguarda la destinazione d'uso, quello dell'istruzione è la più frequente: in Calabria ben 5.354 immobili censiti risulta occupato da scuole di ogni ordine e grado. Ad uso civile sono, invece, destinati 2.881 palazzi; ben 1054 edifici ospitano strutture sanitarie; 607 presidi militari; 384 sedi di mobilità e trasporti; 209 centri di tecnologia a rete; e, infine, 223 rappresentano luoghi di culto.