«Quello che sembrava un risultato ormai conseguito, cioè la sconfitta delle cosche dominanti a Lamezia, s’è invece allontanato improvvisamente». Giuseppe Borrelli ha diretto la procura antimafia di Catanzaro dall'operazione “Medusa” ad “Andromeda”, prima di andare a lavorare nella sua Napoli. Conosce bene la ’ndrangheta calabrese, a cominciare da quella lametina, ma è fortemente sorpreso dell'omicidio di martedì scorso, in cui la vittima è stata l’avvocato Francesco Pagliuso. Borrelli parla a tratti da inquirente ma anche da analista della società calabrese.
Procuratore, crede siano stati i clan lametini?
«Non si può ancora dire con certezza che sia un omicidio di 'ndrangheta. Non ho approfondito».
Ma perché voler colpire Pagliuso?
«È vero, ci si dovrebbe interrogare sulle cause. Il risultato sembrava davvero raggiunto, ma adesso è lontano. Non certo per il mancato impegno da parte di magistratura e forze dell'ordine».
Ma che cosa manca allora a Lamezia?
«La sensibilità della gente nella lotta alla ’ndrangheta. I lametini non sono ancora davvero “pronti”. Forse nemmeno i calabresi».
Ma dopo tutte le retate della Dda, con boss e gregari lametini in galera e condannati, chi può avere architettato questo omicidio eccellente?
«Giampà, Torcasio e Iannazzo credo non siano più in grado di grandi strategie. Dev'essere un'entità criminale nuova, qualcuno che si vuole fare avanti uccidendo. Ma è così inedita che non si può ancora combattere».
Crede si arriverà a individuare il colpevole?
«La procura di Catanzaro ha gli elementi per venirne a capo. Dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e dal sostituto Elio Romano, al nuovo capo della Dda Nicola Gratteri. Hanno tutti grandi capacità».
Significa che nulla è cambiato in città dopo gli arresti e le condanne avvenuti negli ultimi quattro anni?
«Quando arrivai alla procura di Catanzaro dissi che Lamezia e Vibo dovevano essere le priorità. Adesso dico che devono ancora esserlo».
Conosceva personalmente l’avvocato Pagliuso?
«L’ho solo sentito nominare diverse volte».
Cosa pensa del rapporto tra un legale e un mafioso?
«Quella degli avvocati è una categoria irrinunciabile in democrazia. Tutti hanno diritto di essere difesi, anche i mafiosi. È un rapporto difficile, perché i mafiosi vogliono essere solo assolti, e non è sempre possibile. Ci sono fenomeni di contiguità, ma sono rari».
Quando la ’ndrangheta fa una vittima eccellente la considera un'evoluzione o un gesto disperato?
«La ’ndrangheta è l’organizzazione più strutturata d’Italia e più potente. Ha ancora in atto un conflitto dichiarato con lo Stato. La mafia è da anni in silenzio, la camorra è più grossolana, ma raramente si schiera contro le istituzioni. La ’ndrangheta invece sì».
Ma la ’ndrangheta raramente decide di puntare su delitti eccellenti.
«Vero. Ma mi riferisco allo sprezzo dello Stato che dimostrano gli 'ndranghetisti nel corso dei processi. Ricordo che nei primi anni in cui lavoravo alla procura di Catanzaro (dopo il 2010, ndr), c'erano diverse denunce di sindaci del Lametino contro ignoti. I primi cittadini subivano intimidazioni di vario genere. E mi sembrava una cosa strana».
Perché?
«In Campania il sindaco di un paese gode di una posizione di privilegio, i criminali lo rispettano in quanto istituzione. In Calabria non è così: i clan si mettono in diretta concorrenza con le istituzioni, e questo deriva dal carattere strutturale della 'ndrangheta».
In che modo viene fuori questa sfida allo Stato?
«Ricordo che in un'udienza sono stato costretto a intervenire. Alcuni miei sostituti erano stati minacciati dagli imputati di mafia. È accaduto a Vibo con alcuni mafiosi di Filandari. A Napoli cose del genere sono rare. Forse tra i casalesi. Ma il rapporto è in generale più rispettoso».
Cosa vuole dire?
«Che in Campania la camorra di oggi è fatta soprattutto da gang metropolitane più che da vere e proprie cosche. Dei cento clan censiti ne rimangono tre o quattro. La 'ndrangheta invece è ancora molto presente sui territori, anche nei più periferici. Esistono ancora le “famiglie”».
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Punti di vista
Il sì e il no alle droghe leggere
Sfiorato un problema d’incompatibilità nella procura antimafia di Catanzaro. Perchè il nuovo arrivato Nicola Gratteri è contrario alla liberalizzazione della marijuana, per la quale c’è una proposta di legge in parlamento. Mentre l’uscente Giuseppe Borrelli, andato a fare il procuratore aggiunto a Napoli, si è manifestato favorevole, anche se con cautela, in una recente intervista a “Repubblica”. Borrelli ha lasciato l’ufficio inquirente catanzarese alla fine della scorsa estate dopo avere diretto diverse operazioni antimafia nei sette distretti della Corte d’appello.
«Per una premessa onesta», ha dichiarato Borrelli nell’intervista, «devo dire che nessuna delle opposte argomentazioni mi convince fino in fondo. Credo che non si possa non tener conto del fatto che alcuni comportamenti e scelte non sono più ritenuti antisociali. Quindi, vietarli è inutile. Si può solo tentare di regolarli. E in questo senso credo che le cautele, i paletti insomma, posti anche dal procuratore nazionale, come la produzione statale e la vendita affidata a strutture sottoposte alla concessione del controllo pubblico, siano una sintesi giusta e da sposare».
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