Estorsione e truffa aggravata. Sono queste le ipotesi di reato ravvisate contro l’azienda di costruzioni Astaldi da parte delle Associazioni temporanee d’imprese (Ati), impegnate nei lavori di costruzione della nuova strada statale 106, le quali hanno depositato un esposto denuncia alla Procura della Repubblica di Roma e Catanzaro.
La condotta antigiuridica dell’Astaldi avrebbe causato ai rappresentanti legali dell'Ati Carchella (costituita dalle imprese Carchella, Costruzioni Procopio e Cogecon) e del Consorzio Tiriolello (Paolo Carchella, Giacomo Procopio e Giuseppe Concolino), rappresentati dagli avvocati Giancarlo Pittelli e Fabrizio Costarella, «tra mancati incassi ed esborsi non dovuti, un danno di rilevante entità, pari, nel complesso, a più di 35 milioni di euro».
I fatti sarebbero avvenuti a partire dal 2007 quando le Ati hanno intrattenuto rapporti contrattuali con la Astaldi, quale Contraente Generale per conto di Anas, per l’esecuzione dei lavori di ammodernamento della SS 106 Jonica, nei tratti Simeri-Squillace (nel Catanzarese) e Palizzi-Gioiosa Jonica (nel Reggino). Proprio in questo periodo sarebbero state messe in atto delle «condotte illecite, poste in essere da Astaldi attraverso i suoi rappresentanti, nell’assoluta inerzia di Anas – si legge nella denuncia – titolare del potere-dovere di alta sorveglianza dell’esecuzione delle opere anche con riferimento ai rapporti intercorrenti tra il Contraente Generale e gli affidatari».
Secondo le ipotesi d’accusa, «mediante il sistematico occultamento, da parte di Astaldi e di Anas, della documentazione tra di essi intercorsa, la prima sia riuscita a tenere le Ati all’oscuro delle riserve riconosciute, delle proroghe accordate, delle penali revocate o mai comminate dalla seconda. Ciò consentiva ad Astaldi – sempre secondo quanto si legge nella denuncia – di conseguire un ingentissimo e illecito beneficio economico in danno delle Ati, indotte, a causa della severa mancanza di liquidità, a sottoscrivere, infine, pregiudizievoli accordi transattivi con il contraente generale stesso».
In particolare, sarebbero state applicate «penali per ritardo nell’esecuzione dei lavori, senza informare gli affidatari che Anas, per i medesimi lavori, aveva concesso reiterate proroghe. Ciò ha condotto alla paradossale situazione che, pur avendo ultimato le lavorazioni in anticipo, rispetto al termine prorogato da Anas, l’Ati è stata destinataria di penali». Inoltre, sarebbe stato «negato il riconoscimento di riserve per lavorazioni aggiuntive, imprevisti archeologici, imprevisti geologici, interferenze, senza informare l’Ati che, invece, dette riserve erano state riconosciute da Anas e liquidate ad Astaldi. O, addirittura, comunicando ad Ati il rigetto, da parte di Anas, di tali riserve, già oggetto, invece, di liquidazione bonaria». A livello economico, invece, le fatture delle Ati sarebbero state onorate «con ritardi giunti fino a oltre 300 giorni, nonostante l’impegno contrattuale a liquidare il corrispettivo entro 90 giorni dalla emissione della fattura e nonostante l’Anas provvedesse al pagamento delle somme dovute nel tempo medio di 45 giorni dalla emissione dei documenti contabili» mentre sarebbe stato «rifiutato il pagamento delle fatture emesse dagli affidatari con addebito diretto dell’Iva, imponendo l’applicazione indebita della inversione contabile (cosiddetto “reverse charge”), ovvero con esenzione dell’Iva».
Questa situazione avrebbe indotto le società raggruppate in Ati in una situazione di grave fibrillazione finanziaria, con significativa esposizione con il sistema bancario. Situazione che sarebbe stata evidenziata alla Astaldi che, per tutta risposta, avrebbe coartato psicologicamente le Ati al fine di accettare accordi transattivi, a condizioni di estremo disfavore. «La coartazione – si legge sempre nella querela – veniva posta in essere nel corso dei ripetuti incontri svoltisi tra i legali rappresentanti delle società, ovvero tra i loro delegati. Colloqui nel corso dei quali, alle ricorrenti manifestazioni del crescente malessere economico da parte delle esponenti, la Astaldi “invitava” seccamente le stesse ad accettare le proposte transattive che venivano formulate, prospettando, in caso contrario, la applicazione di penali ancora maggiori e minacciando l’attivazione di ricorsi per la dichiarazione di fallimento delle società affidatarie».
Complessivamente, il danno ingiusto patito dalle Ati, «connesso all’ingiusto vantaggio conseguito dalla Astaldi, è dunque pari a 35 milioni di euro, e cioè pari agli importi cui l’Ati ed il Consorzio sono stati indotti a rinunciare, nonché alle penali indebitamente richieste e ai lavori non contabilizzati, sotto la minaccia della comminatoria di penali non dovute e il timore del ricorso a procedura esecutive e concorsuali».
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