Il color porpora delle pagine messo a punto in laboratorio con una mescola sapiente di licheni e carbonato di sodio, le tinte eclatanti delle figure ottenute da lapislazzuli e lacca di sambuco, in un solo caso dal cinabro, pietra rarissima nell'oriente del VI secolo. E poi le pergamene, tirate con maestria dalle pelli di decine e decine di agnelli, tagliate e rilegate con incredibile professionalità. A quindici secoli dalla sua creazione sui banchi di uno scriptorium bizantino, le analisi condotte dall'Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario (Icrcpal) svelano molti segreti del Codex Purpureus Rossaniensis. E mentre si conferma il valore inestimabile dell'evangelario, si dipana finalmente un po' del mistero che lo avvolge da quando a metà '800 venne ritrovato a Rossano, nella Sacrestia di Maria Santissima Achiropita. Certo, dalla sua creazione al ritrovamento ottocentesco rimane un 'buco' di secoli. Ed ancora oggi è ben difficile accertare come dalla Siria o dall'Anatolia il prezioso libro, sicuramente commissionato per un papa o un imperatore e inizialmente tempestato di gemme preziose, sia arrivato in Calabria, forse portato nell'VIII-IX secolo dai monaci in fuga dalla furia iconoclasta. Ma oltre due anni di analisi, indagini e delicati restauri hanno comunque permesso di ricostruire tantissimo della sua storia e persino dei tarli che in passato ne hanno aggredito la copertina lignea e alcune delle pagine. Il Codice, raccontano gli esperti, era già stato all'Icrcpal nel 1987 per un sospetto attacco fungino. Nel giugno 2012 la nuova trasferta, per studi e restauri resi necessari anche dalle condizioni della rilegatura rifatta negli anni '50. Sottoposto a un procedimento di 'archeoanalisi', spiega la responsabile del laboratorio di Biologia M.Carla Sclocchi, il maestoso librone si è rivelato sano, anche se porta i segni di una aggressione di insetti anteriore al 1898, data delle prime fototipie in bianco e nero. Importanti novità sono arrivate dalle analisi chimiche, che hanno confermato l'epoca del documento, tutto riferibile al VI secolo, nonché la sua provenienza orientale, ricostruendo i materiali usati. Si è scoperto così che la 'porpora' con cui sono state tinte le pergamene non è quella raccolta dai molluschi (come la porpora di Tiro per intenderci) bensì un composto di origine vegetale, che la responsabile del laboratorio di Chimica, Marina Bicchieri, ha riprodotto sperimentando antiche ricette. "Alla fine ho trovato quella giusta", racconta la dottoressa. Il segreto di quel rosso violaceo che rende così sontuose le pagine del Codex, rivela, è in un composto di Roccella Tinctoria ("un lichene molto diffuso in quella zona") e carbonato di calcio. E non basta, perché analizzando i colori delle miniature, si è scoperto che i monaci hanno usato anche la "lacca di sambuco", un colorante ottenuto dalle bacche che non era mai stato identificato in un manoscritto così antico. Fisici, biologi, chimici, restauratori hanno passato al setaccio le 188 pagine rimaste e trovato traccia di tutte le traversie subite nei secoli dall' evangelario, dai rimaneggiamenti fino all'incendio dal quale chissà quando è stato salvato e nel quale forse sono andati perduti i vangeli di Luca e Giovanni. Una fattura di altissimo livello a partire dalla qualità delle pergamene, hanno concluso concordi. Realizzato in un laboratorio artigiano di grande competenza tecnica, il Codex era da subito destinato a durare.
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