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Assoluzione definitiva
per padre Fedele

Assoluzione definitiva per padre Fedele

Chi risarcirà quest’uomo? Prima che un sacerdote, padre Fedele Bisceglia è un uomo: incarcerato, calunniato, oltraggiato. Poi è un religioso: privato della veste talare, della possibilità di dire Messa e, soprattutto, dell’Oasi francescana, una struttura messa in piedi senza soldi pubblici con l’esclusivo contributo di donazioni volontarie.

Ieri la Corte di Cassazione l’ha assolto definitivamente dall’accusa di aver in più occasioni stuprato (una volta in gruppo) una suora siciliana. Scriveva Franz Kafka: «Quanto pubblico dolore può venire da un’assoluzione. Essa infatti prova quale grande sbaglio lo Stato prima ha compiuto». Dieci anni, nove giorni e quattro ore: tanto ha dovuto attendere il frate missionario e medico per sentirsi dire, una volta e per sempre, che è innocente. I giudici di legittimità hanno bocciato il ricorso presentato dalla Procura generale di Catanzaro contro il verdetto assolutorio emesso nel giugno del 2015 dalla Corte di assise di appello del capoluogo di regione. Un verdetto giunto a conclusione di un altro pronunciamento della Cassazione che aveva annullato la condanna emessa in precedenza contro il religioso. Lo scorso anno i togati di seconda istanza bollarono la suora come «inattendibile». Troppe le incongruenze, troppi i dubbi sorti pure tra i “colpevolisti”. La suora, dopo l’arresto del sacerdote, aveva infatti denunciato altri presunti abusi sessuali subiti a Roma. Abusi poi smentiti dalle indagini approfondite compiute dallo Sco della Polizia. Due cittadini romeni che la religiosa aveva indicato, invece, come autori di una ulteriore violenza carnale sopportata mentre si trovava ancora a Cosenza, sono stati nel frattempo assolti con formula ampia dal Tribunale bruzio per mancanza di riscontri. A queste conclusioni investigative e processuali ne va aggiunta un’altra che risale al periodo delle prime indagini preliminari: la monaca aveva inizialmente indicato come compartecipe alla presunta violenza di gruppo patita per iniziativa di padre Fedele persino un incolpevole magistrato. Un togato – a suo dire – addirittura disposto a sborsare una ingente somma di denaro per avere il filmato della scena da “Sodoma e Gomorra” cui aveva preso parte. Circostanza risultata completamente priva di fondamento. Scrivono i giudici di appello nella sentenza assolutoria confermata, ieri, dalla Corte di Cassazione: «L’incongruità e l’illogicità di ogni episodio caratterizzato da tratti anche fantasiosi, si coniuga, rafforzando negativamente il giudizio di attendibilità, con la mancanza di alcun riscontro al narrato della suora rispetto al quale è stata unicamente valorizzata la ritenuta compatibilità con alcuni dati, neppure certi, quasi sempre però di natura neutra».

Stritolato dai mezzi d’informazione, isolato dalla Chiesa, guardato con sospetto da una parte dell’opinione pubblica, il frate ha sempre combattuto mostrando una forza straordinaria. Piero Calamandrei la definiva «la sovrumana vis dei non colpevoli». Ha affrontato quattro processi e, ieri, il quinto. Al suo fianco due avvocati: Eugenio Bisceglia e Franz Caruso. Pure loro hanno combattuto come antichi guerrieri cartaginesi per strapparlo all’ingiustizia eterna. Prima di chiudere prematuramente la sua esistenza terrena c’era, accanto a padre Fedele, il professore Tommaso Sorrentino. Fu lui a mettere per primo in dubbio l’intero impianto accusatorio. Gli credette il Tribunale della libertà di Catanzaro, ma la decisione del Riesame venne successivamente ribaltata dalla suprema Corte. Arrivarono i dibattimenti e le condanne, in primo e secondo grado, a nove anni e tre mesi di carcere. Quando tutto sembrava perduto ancora una volta la Corte di Cassazione, sulla base dei nuovi atti prodotti dalla difesa e relativi alle presunte e mai provate violenze subite dalla suora a Roma quando il religioso era già detenuto, dispose un altro giudizio di appello. Che si concluse lo scorso anno con l’assoluzione piena. Un’assoluzione ora confermata definitivamente. Padre Fedele, che ha atteso raccolto in preghiera nella chiesa di San Nicola l’esito dell’ultimo dibattimento, ha detto: «I miei accusatori devono chiedere scusa a me, alla chiesa e a Cosenza». Nessuno – questo è certo – potrà mai risarcirlo per il dolore subìto.

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