Il suo ultimo pezzo è oggi nella pagina della cultura: i 70 anni della Sisal, la mitica “schedina”. In controluce, ci leggerete tante cose che facevano parte del suo mondo: lo sport, anzitutto, e poi l’Italia semplice e viva che riempiva gli stadi e cantava le canzoni di Sanremo e tifava per le Miss. L’Italia e specialmente il suo Sud, la sua Calabria amatissima e poi Messina, città “adottata” ma divenuta un altro centro del suo cuore, che era grande e aveva posto per tanto, per tutto.
È anzitutto una storia di passioni, quella di Tonio Licordari, giornalista di razza e calabrese doc scomparso ieri a 72 anni, cioè davvero troppo presto, senza potersi mettere in pari – e forse mai sarebbe accaduto – con tutto quel che gli suggerivano la sua inarrestabile curiosità, la sua fervida fantasia, la sua incrollabile fede nella necessità di testimoniare e scrivere. Perché c’era sempre un altro campionato, un’altra impresa, un’altra canzone, un’altra storia da raccontare. E Tonio non si tirava mai indietro.
Era in pensione dalla fine del 2011, ma la parola “pensione” significava ben poco per lui, così come – persino nelle fasi più delicate e dolorose della malattia con cui lottava da qualche tempo, un aggressivo mieloma multiplo – le parole “riposo” o “quiete”: era andato via dalla Gazzetta del Sud – per lui una vera e propria fede, come il suo Milan, la bicicletta, la musica – da vicecaporedattore e responsabile della redazione di Reggio, città adorata (anche se lui era nato a Bova Marina), croce e delizia del cronista che avrebbe sempre voluto raccontarne la bellezza e la forza nascosta, di cui avrebbe voluto celebrare il riscatto. Il cronista che entrava dappertutto, conosceva tutti, come si usava all’epoca in cui aveva imparato la professione, che lui s’ostinava a chiamare “mestiere”, proprio per metterne il luce l’aspetto laborioso, l’arte minuta e assidua, la costanza e la dedizione. Perché la storia di Tonio Licordari è una storia di passioni e di lavoro, così talmente mescolati tra loro da diventare indistinguibili.
Una penna preziosa
Un lavoro che non aveva perso nulla del suo significato nemmeno dopo il pensionamento, e Tonio – come dalla prima collaborazione, quando era ancora dipendente delle Ferrovie, e in tutte le tappe della carriera, come cronista nella redazione di Messina negli anni 80, poi caposervizio dello Sport negli anni 90, infine vicecaporedattore e capo della redazione di Reggio dal 2001, senza dimenticare la militanza nelle file del sindacato (era stato anche consigliere nazionale Fnsi nel 2004) e la presidenza, per molti anni, dell’Unione stampa sportiva calabrese – era rimasto una penna amata e importante del giornale, pronto a commentare la storica promozione del Crotone come l’ultimo Festival di Sanremo, a disquisire di mercato discografico e appassionarsi a una tappa del Tour de France.
D’altronde, nessuno avrebbe potuto separarlo dalle sue passioni, specie la prima e la più importante: la sua famiglia. L’adorata moglie Alba, l’amatissimo figlio Natalino, e poi tutti i parenti e il gruppo di amici del cuore – folto – per cui avrebbe scalato qualunque montagna. Magari in bicicletta, che era l’altro suo amore, un amore per nulla contemplativo: «pedalare» avrebbe potuto essere il suo motto. A testa bassa, senza curarsi del caldo o della pioggia, magari di primo mattino per le strade di Reggio, o di Saline Ioniche (dove oggi alle 15 saranno celebrati i funerali, nella chiesa del SS. Salvatore).
Pedalare, con senso del dovere e passione, seguendo le sue “creature” più amate, anzitutto nello sport: le straordinarie nove stagioni della Reggina in A e tutte le tappe miliari del Milan (il cuore di Tonio era per metà amaranto e per metà rossonero), ma anche il sorprendente Messina di Franco Scoglio e poi dell’apoteosi della massima serie, la Nazionale (fu anche inviato ad Italia 90, e scrisse sempre le cronache delle più importanti partite internazionali), fino al miracolo Crotone, per cui aveva firmato l’ultimo pezzo proprio sabato scorso.
Tra Enzo e Mino
Ma era anche di casa nella sala stampa di Miss Italia, vicino da sempre al patron Enzo Mirigliani e poi alla figlia Patrizia, e di Sanremo, dove si combinavano la passione per la canzone – era stato tra l’altro amico intimo e biografo ufficiale d’un grande artista calabrese, Mino Reitano, e per lui aveva anche firmato il testo d’una canzone, “L’abitudine” – e l’interesse per i grandi eventi nazional-popolari, che per Tonio incarnavano autenticamente lo spirito migliore, più genuino, del nostro Paese. Il Festival dello scorso anno Tonio lo aveva seguito dall’ospedale, durante uno dei suoi ricoveri. Anche lì pedalare, mai fermarsi, mai lamentarsi, anzi lavorare di più, scrivere di più, resistere nel solito modo umile e generoso, caparbio e sorridente.
In questo triste momento, le condoglianze della Gazzetta alla famiglia, in particolare ad Alba e a Natalino. Ma non vanno bene le formule, per Tonio, che era uomo schietto e fuggiva i formalismi. Quindi ciao caro Tonio, resterai nel cuore di tutti noi.