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Nardodipace, la ‘ndrangheta era cosa... pubblica

Nardodipace, la ‘ndrangheta era cosa... pubblica

Quattro pagine, fitte-fitte. Pagine pesanti che portano la firma del ministro Angelino Alfano e a cui viene allegata la relazione del prefetto di Vibo Giovanni Bruno.

Pagine in cui vengono riportate le motivazioni alla base dello scioglimento del consiglio comunale di Nardodipace (4 dicembre 2015) e in cui si dà atto «della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti ed indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi». Secondo quanto evidenziato dalla commissione d’accesso – nominata nel febbraio 2015 a seguito dell’operazione “Uniti per la truffa” che portò all’arresto dell’allora sindaco Romano Loielo, dell’ex vicesindaco Romolo Tassone (figlio del presunto boss del locale di ‘ndrangheta di Cassari, Rocco Bruno Tassone), di Mario Carrera e di Fabio Rullo, tutti finiti per qualche tempo ai domiciliari – a Nardodipace «l’uso contorto della cosa pubblica» si sarebbe «concretizzato, nel tempo, in favore di soggetti o imprese collegati direttamente o indirettamente ad ambienti malavitosi».

In tale contesto, in base a quanto riportato nella relazione del ministro Alfano e del prefetto Bruno, un ruolo di primo piano viene data alla figura del sindaco, definito «figura portante dell’impianto criminale» e che avrebbe accentrato a sè tutte le funzioni demandate all’ente.

L'approfondimento nell'edizione in edicola della Gazzetta del Sud

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