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Cassazione: la città di Reggio nelle mani di una supercosca

 Quattro cosche di 'ndrangheta in sinergia. Una accanto alle altre per stabilire regole, realizzare profitti, stringere accordi, condividere business e dirimere frizioni intestine. A Reggio, nel cosiddetto mandamento “centro” della cupola mafiosa provinciale, comandavano i De Stefano, i Condello, i Tegano e i Libri. Le quattro storiche cosche di ’ndrangheta reggine. Un teorema accusatorio ribadito con assoluta convinzione dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio, nel corso della celebrazione dei due tronconi processuali di “Meta” (e dal pm Giuseppe Lombardo), che adesso viene messo nero su bianco dai Giudici supremi che nei giorni scorsi hanno reso note le motivazioni della sentenza del filone processuale abbreviato. Già definito con condanne già passate in giudicato. Tra i passaggi cruciali delle conclusioni della Corte di Cassazione il sigillo alla tesi del sostituto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio, Giuseppe Lombardo, che ha coordinato l’inchiesta condotta sul campo dagli 007 del Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri di Reggio Calabria. Esiste quindi il “direttorio” di ’ndrangheta: «Nel mandamento di centro della ’ndrangheta vi è una super cosca. La pace mafiosa intercorsa anche fra le famiglie Condello, De Stefano, ha prodotto i suoi effetti nei territori limitrofi. Come quello di Villa San Giovanni e zone adiacenti, dove il clan Buda-Imerti era stato tradizionalmente referente dei Condello, e la cosca Zito-Bertuca aveva costituito emanazione di quella riconducibile ai De Stefano». Un’accusa che emerge a chiare lettere, quindi, anche dalla sentenza del processo “Meta” deciso in primo grado davanti al Gup; e nonostante in questo filone processuale non figurassero tra gli imputati i quattro indiscussi padrini della 'ndrangheta di Reggio. I quattro boss che avrebbero costituito il “direttorio”: Giuseppe De Stefano, Pasquale Condello, Giovanni Tegano e Pasquale Libri, esponenti delle omonime, e storiche, dinastie mafiose di Reggio, si ritrovano adesso alla vigilia del giudizio d’Appello (il via è già in calendario per il 28 ottobre). La Cassazione si è invece soffermata sul ruolo ricoperto dai clan satelliti del gotha mafioso del mandamento “centro”: «Buda ha una caratura apicale all’interno dell’associazione. Nei colloqui l’imputato stabilisce quali "locali" debbono essere privilegiati da una data iniziativa o manifesta aperte critiche verso la gestione del clan da parte del boss del momento Antonino Imerti, o ancora rivendica a se stesso la possibilità di fare opposizione ad un “avanzamento di grado” nell'organizzazione criminale da parte di altri soggetti con tanto di uso di espressione inequivoche quali “locale di ’ndrangheta” e di riferimento all’intero cursus honorum nelle gerarchie criminali calabresi».

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