Dodici anni dopo, tutto viene annullato: promossi sulla base di due bandi del 2003, quasi mille dipendenti regionali rischiano di dovere adesso tornare a svolgere le funzioni precedenti, con conseguente taglio anche dello stipendio. È l'effetto-terremoto di una sentenza del Consiglio di Stato, che ha accolto l’appello di un ingegnere: quei bandi dovevano essere pubblici, non riservati solo agli interni. «La giurisprudenza della Corte Costituzionale – scrivono nella sentenza i giudici della quinta sezione del Consiglio di Stato – hanno più volte ribadito che il concorso pubblico costituisce la modalità ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, in coerenza con i princìpi costituzioni di uguaglianza (art. 3) ed i canoni di imparzialità e di buon andamento (art. 97) e che pertanto i concorsi interni sono da considerare come eccezione al principio dell’ammissione in servizio per il tramite del pubblico concorso». Ebbene, nel caso specifico «gli impugnati decreti in data 26 giugno 2003, con cui il dirigente generale vicario del dipartimento Organizzazione e Personale della Giunta regionale della Calabria, successivamente rettificati in data 8 luglio 2003, ha indetto le progressioni verticali per l’accesso a 186 posti di categoria D3 e a 799 posti di categoria D1, tutti interamente riservati al personale già dipendente dell’ente, non recano alcuna motivazione delle ragioni, di interesse pubblico, che giustificano il ricorso ad una procedura interamente riservata per la copertura di posti vacanti, in deroga al principio del necessario concorso pubblico per l’accesso a posti di pubblico impiego». Tutto da annullare, dunque, secondo il Consiglio di Stato che ha anche condannato la Regione al pagamento di 8mila euro. Le conseguenze? La decisione della magistratura amministrativa rischia di trasformarsi in un vero terremoto per la burocrazia regionale. Stando alla sentenza, infatti, i dipendenti che usufruirono di quella progressione di carriera dovrebbero rientrare nelle categorie di partenza. Il numero delle persone coinvolte è notevole: 799 per la categoria D1 e 186 per la D3. A sollevare il caso è stato un laureato in Ingegneria civile che si era rivolto al Tar calabrese poiché «i provvedimenti impugnati gli precludevano la possibilità di partecipare ai concorsi per la copertura dei posti vacanti, illegittimamente tutti riservati al personale già dipendente dell’en - te». I giudici del Tar di Catanzaro, in primo grado, avevano rigettato il ricorso. Da qui l’appello al Consiglio di Stato, che ha chiuso il caso bocciando la Regione, accusata di aver «creato una ingiustificata posizione di privilegio per il personale già dipendente».
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