Trattava il marito peggio d’un animale. Lo minacciava, insultava, picchiava, costringeva a vivere in condizioni disumane. E molto altro ancora. Un inferno dal quale l’uomo, un 69enne con menomazioni psichiche e insufficienza mentale medio-grave, residente in un paesone del Cosentino, è stato tirato fuori solo grazie alla denuncia della figlia e alle successive indagini dei carabinieri e della procura della Repubblica di Cosenza. Quando i militari sono giunti nella residenza hanno trovato l’anziano chiuso in una stalla. In settimane d’indagini, accertamenti ed escussioni testimoniali, gli inquirenti hanno trascinato a giudizio la moglie violenta per la quale la procura ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato. L’iter processuale di primo grado s’è concluso lunedì pomeriggio dinanzi al giudice monocratico Claudia Pingitore che ha condannato la donna, una 52enne anch’ella residente nel grosso centro della provincia, a due anni e sette mesi di reclusione oltre che al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. Il giudice ha obbligato l’imputata pure a risarcire il danno in favore delle parti civili che si sono costituite in giudizio e sono state difese dall’avvocato Antonio Vanadia. Il dovuto dovrà essere liquidato in un ulteriore processo in sede civile. Per intanto la 52enne dovrà pagare alle stesse parti civili 2.200 euro quali spese di giudizio, oltre al necessario rimborso. Le carte dell’inchiesta raccontano nei dettagli i maltrattamenti in famiglia aggravati e l’abbandono d’incapace che la procura ha contestato alla presunta moglie violenta, assistita dall’avvocato Domenico Sommario del Foro di Rossano. «Lo minacciava reiteratamete, lo insultava sistematicamente – ha cristallizzato il gip Salvatore Carpino nel provvedimento con cui ne ha disposto il giudizio immediato – rivolgendogli frasi ingiuriose e apostrofandolo con parole ed epiteti fortemente offensivi. Lo percuoteva ed aggrediva costantemente». Ancora, «lo sottoponeva a reiterate imposizioni, umiliazioni e mortificazioni. Lo costringeva a vivere in condizioni disumane, gli imponeva di dormire fuori di casa, all’interno di ricoveri di fortuna». Spesso, sempre secondo la ricostruzione dell’autorità giudiziaria, «lo teneva a digiuno o comunque lo nutriva con alimenti acidi, non lo puliva allorché faceva i suoi bisogni naturali». Ma, soprattutto, la “compagna di vita” gli sottraeva tutta la pensione cui il malcapitato aveva diritto considerata la sua patologia, lasciandolo senza un centesimo. L’anziano marito non era autonomo e quindi aveva bisogno d’aiuto e assistenza continua nelle «principali attività quotidiane». Gli episodi principali contestati all’imputata, presente in aula nell’ultimo udienza del processo di primo grado dinnanzi al tribunale cosentino, risalgono al febbraio dell’anno passato.