Armi da guerra per la rinascita. Puntavano ai kalashinkov per riacquistare spazio e potere nelle dinamiche di ’ndrangheta della Piana. Il clan Molè, i perdenti di Gioia Tauro stretti all’angolo dalla supremazia della dinastia dei Piromalli, si stava riorganizzando per riprendersi una fetta di leadership. Una strategia svelata dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio, nome in codice “Mediterraneo”, e confermata dai collaboratori di giustizia Arcangelo Furfaro, Pietro Mesiani e Marino Belfiore. Proprio in tema di armi il più informato appare Marino Belfiore, 35enne di Gioia Tauro, che sta svelando affari e retroscena criminali ai magistrati Roberto Di Palma e Matteo Centini. Sui traffici di armi il profilo mafioso di Belfiore non è irrilevante. C’è proprio lui dietro la scoperta di una “Santabarbara” tra Rizziconi e Gioia Tauro ad opera delle Fiamme Gialle nel marzo scorso. Un arsenale in piena regola che aveva fatto tremare i vertici delle Istituzioni della legalità locali, facendo anche ipotizzare un attentato in grande stile a un magistrato o a qualche esponente di primo piano della strutture investigative della provincia reggina. Saltato il “fosso”, il pentito Marino Belfiore ha spiegato nel dettaglio, tutte le fasi di quella “Santabarbara” (una dozzina tra kalashnikov, fucili mitragliatori e pistole, oltre a una scorta cospicua di munizioni). Armi destinate alla ’ndrina “Molè”, ma non per consumare un attentato eccellente. I termini della consegna fanno parte dei verbali dichiarativi già depositati al via dell’udienza preliminare “Mediterraneo”: «Qualche giorno prima di quel 29 marzo siamo andati io e Antonio Bonasorta a Vibo a casa di Angelo Andreacchi che ci disse: “avete un appuntamento a Cassano dello Ionio (...) prese Antonio l’accordo e mi disse: “parlo io”e io sono rimasto in macchina... dice “Ci vediamo a Rizziconi", e io al ritorno ho detto: “ma perchè devo andare a Rizziconi se le armi le vogliono loro, non gliele poso portare qua?, dice e poi se la vedono loro”, dice: “Si, ma vi vedete a Rizziconi, è meglio così tu fai un pezzo di strada, loro fanno tutto il grosso”. Ho detto io: “e i soldi?”. “No i soldi se la vedono loro con Angelo”, se la dovevano vedere con Angelo Andreacchi”. Armi provenienti dalla Slovacchia. Cinque i viaggi ricostruiti dagli inquirenti sull’asse con Gioia Tauro: «Tornato a Gioia Tauro, Bonasorte parla con me e mio padre, che dopo qualche perplessità si dava disponibile a fare tali lavori di ripristino delle armi una volta in suo possesso. Cosimo Amato e Bonasorta effettuavano un primo viaggio in Slovacchia, per portare una prima arma, cosa che poi non hanno fatto. Ci fanno però vedere le foto fatte sul posto, dove poi sono andato anche io successivamente (...) il secondo viaggio l’abbiamo fatto nel gennaio del 2013 io e Bonasorta (...) acquistammo 13 pistole e un mitra (...) dopo mio padre ha fatto la modifica».
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