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La ’ndrangheta pretende il “pizzo” tre volte all’anno

 Cosenza è una città storicamente piegata al volere dei “signori della mazzetta”. Nonostante le tante retate che hanno spinto le “famiglie” dei malacarne allo sbando, qui la mafia delle ’ndrine continua a pretendere il “pizzo”. Da tutti. Coi boss in carcere si muovono i “compari” a piede libero. Devono trovare i soldi per le spese legali e per gli stipendi da pagare alle mogli e ai figli dei detenuti. E, naturalmente, devono garantire i quattrini pure per il mensile da versare a tutti gli altri affiliati. Di soldi, perciò, ne servirebbero a palate. Non c’è angolo di questa città e della sua sterminata area urbana che non venga aggredito quotidianamente da boss e reggipanza della ’ndrangheta. Di notte si muovono gli “azionisti”, annusano le scie che lasciano i denari e calano come falchi. Anche chi non riceve personalmente le richieste del clan, provvederà a “mettersi a posto”, a versare quello che gli “spetta”, il “fiore”. Funziona più o meno così: gli operatori economici sanno benissimo come si fa, parlano tra di loro, chiedono a chi dovranno rivolgersi per stare tranquilli. E saranno proprio loro a cercare gli “amici” e “amici degli amici” per andarsi a comprare la serenità. Ma c’è anche chi fatica a campare, chi non ha i soldi per pagare i dipendenti e tutti gli altri costi dell’azienda. Gente come un bottegaio di Rende che aveva spiegato all’emissario delle “coppole” di non poter pagare la rata di Natale. E nemmeno quella di Pasqua e di Ferragosto come voleva quello lì che si lamentava d’essere rimasto «solo come un cane» dopo l’arresto dei capi della cosca. E da solo avrebbe dovuto pensare a tutto lui. Il negoziante gli avrebbe confessato che non avrebbe pagato semplicemente perchè non aveva soldi. Era settembre dello scorso anno. Ieri, per ordine del procuratore aggiunto della Dda, Vincenzo Luberto, e del pm antimafia Pieropaolo Bruni, i carabinieri del colonnello Giuseppe Brancati, hanno sottoposto a fermo di indiziato di delitto il trentunenne Fabrizio Antonio Provenzano, originario di Reggio ma residente a Rende. L’accusa è di tentata estorsione col metodo mafioso ai danni del commerciante. Lo scenario è stato ricostruito dai detective dell’Arma del Reparto provinciale, guidati dal colonnello Vincenzo Franzese. La trama è quella classica, del tentativo di ricatto ai danni del titolare di un’attività economica. E, con Provenzano, sarebbero coinvolti anche il boss Mario Gatto e Renato Mazzulla, l’ex vivandiere del “capo dei capi” della ’ndrangheta cosentina, Ettore Lanzino. Con Gatto e Mazzulla già in carcere, il fermo è stato disposto solo nei confronti dell’unico indiziato in stato di libertà, Provenzano, appunto. L’indagato è stato ammanettato, ieri mattina, dagli “007” del Nucleo investigativo del capitano Michele Borrelli. Dalle indagini sarebbe emersa l’indisponibilità del negoziante di fronte alle pretese della ’ndrangheta, con Mazzulla che lo avrebbe minacciato invitandolo a versare la rata nonostante le lamentate difficoltà economiche: «Non mi interessa, devi pagare lo stesso».

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