Una visione condivisa per ridisegnare il sistema di trasporti dello Stretto. Gli attori istituzionali del territorio hanno elaborato lo studio di fattibilità per il miglioramento dei sistemi di collegamento marittimo, ferroviario e stradale nell’area. Un operazione con cui il ministero delle Infrastrutture ha voluto fornire al territorio un’opportunità per abbattere gli steccati del campanilismo tra le due sponde dello Stretto e al tempo stesso adempiere ai dettami della legge di stabilità. Così per mesi i rappresentanti istituzionali delle regioni Calabria e Sicilia, le Università di Reggio e di Messina, le due province, i Comuni, l'Anas, Rfi (ha partecipato solo al primo incontro), le autorità portuali, si sono confrontati su quello che da sempre è un nodo irrisolto: la mobilità nello Stretto. Ieri all'università Mediterranea i partner del tavolo si sono rivisti per ultimare il lavoro. Tante visioni racchiuse in un documento. Uno studio che costituirà la base per un “accordo di programma” tra la regione Sicilia, Calabria e il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, un accordo che guarda in prospettiva alle risorse finanziarie europee 2014-20. Si perchè la vera sfida è quella di cominciare a pensare e programmare insieme per garantire i servizi, per accedere alle risorse comunitarie. Risposte per i tanti pendolari che ogni giorno si muovono tra le due sponde dello Stretto. Sono 17 mila al giorno, di cui 2800 solo pedonali, 8 milioni in un anno. L'ambizione porterebbe a pensare a un sistema intermodale, magari con una tariffazione unica. L’approccio tecnico individua tre livelli di azione: il primo di natura politica, il secondo di efficienza e integrazione modale e tariffaria, il terzo indica lo studio di fattibilità come un documento conoscitivo, strategico e programmatico che partendo da un’analisi attuale dei trasporti (marittimi, stradali e ferroviari) e delle infrastrutture esistenti nell’Area dello Stretto e del contesto normativo, miri ad individuare le azioni e gli interventi prioritari da programmare, a medio e lungo periodo, per potenziare il sistema infrastrutturale e di trasporto al fine di favorire la costituzione di un sistema di trasporto intermodale (gomma-ferro-mare) tra le due sponde, individuando i nodi e le potenzialità e definendo gli obiettivi generali e specifici da perseguire. Attorno a questa idea si sono misurate le istituzioni con il supporto scientifico dei due Atenei. In questo contesto in rappresentanza della confederazione Armatori, Vincenzo Franza ha presentato uno studio in cui emerge l’impatto economico delle diverse opzioni, come dire cambiando la rotta variano anche i costi. Alla presenza del direttore generale del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Enrico Maria Puja, i diversi attori hanno fatto il punto della situazione. Del resto come ribadisce il rettore della Mediterranea, Pasquale Catanoso aprendo i lavori che sono proseguiti a porte chiuse, di questo problema si discute da decenni, la speranza è che l’intuizione del ministero di favorire una proposta unitaria che parta dal basso, possa profilare una soluzione compatibile. Il prof. Michele Limosani suona la sveglia alla politica «delle due Regioni che dovrebbe essere più presente per mettere a sistema ciò che sta succedendo sullo Stretto». La cornice istituzionale in cui muoversi infatti sta vivendo una fase di transizione tra la costituzione delle città Metropolitane e il progetto ancora tutto da definire dell’unica autorità portuale. Per l’Ateneo reggino, Francesca Moraci ribadisce la valenza dell’opportunità: «C’è un tempo per studiare e uno per agire. Noi in questi anni abbiamo prodotto tante ricerche, oggi si deve affrontare la questione in un’ottica non solo di costi benefici, ma anche di costi efficacia». Da dove cominciare? «Dalla riprogrammazione. Il ministero ci chiede di pensare al lungo periodo. Le premesse per avere una visione congiunta ci sono tutte».
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