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La “bomba” del latitante Matacena

«Se dovesse succedere qualcosa a me o ai miei familiari, verrebbero consegnati e pubblicati in Italia i numeri dei conti correnti svizzeri sui quali sono state depositate le somme delle tangenti dell’affare Telekom Serbia». Da Dubai, dove è latitante dall’estate del 2013, dopo una condanna definitiva a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa, l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, intervistato in esclusiva dall’Ansa, lancia un messaggio che lascia pochi dubbi: «Furono portate racconta delle tangenti con un aereo privato dalla Serbia in Svizzera. Un broker che conosco mise i soldi su tre conti correnti di tre importanti esponenti della sinistra italiana e mi consegnò quei numeri, che non sono l’unico a sapere. Non so per chi fa il ventriloquo il collega deputato del Pd Davide Mattiello. Io credo, però, che loro sappiano che se dovesse accadere qualcosa alla mia incolumità o a quella dei miei familiari, verrebbero subito resi noti questi conti correnti». Camicia a righe, occhiali e jeans, notevolmente più magro rispetto alle ultime foto che circolano su di lui, «sono dimagrito 16 chili in un anno e mezzo», l’ex esponente di FI non risparmia critiche al centrodestra da cui è stato candidato alla Camera nel 1994 e nel 1996. «A Palermo ricorda testimoniai per due volte a favore di Marcello dell’Utri, la seconda anche se non ero stato ricandidato. A Caltanissetta, citato come teste da Berlusconi, testimoniai contro l’ex magistrato Caselli. Ma Fi mi ha usato come uno straccio vecchio. Sono stato sacrificato dal partito per dare in pasto alla stampa la notizia che il partito faceva pulizia nelle liste». Di qui, spiega, la mancata ricandidatura nel 2001. «L’unica persona che considero essere un uomo è Claudio Scajola prosegue furono lui e Berlusconi a decidere di non ricandidarmi nel 2001. Lo rividi anni dopo e fui ovviamente freddo. Lui se ne accorse e mi disse che riteneva di avermi fatto un torto nel non ricandidarmi. Poiché oggi nessuno dice “ho sbagliato”, se già qualcuno ammette una colpa per me merita stima». Quanto all’accusa che Scajola e la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, abbiano favorito la latitanza di Matacena, tentando di agevolare un suo spostamento in Libano per il fatto è in corso un processo a Reggio Calabria l’ex deputato azzurro non ha dubbi: «Il fatto non esiste. In Libano ammazzano le persone per 500 dollari e c’è un accordo di estradizione con l’Italia che negli Emirati Arabi non c’è. Perché avrei dovuto tentare di andare in Libano?». Non pensa certo a rientrare in Italia per scontare la pena a cui è stato condannato. «Subisco un torto e non intendo certo farmelo diventare violenza». Ammette tuttavia che la solitudine a Dubai è forte: «sento la solitudine in modo violento. Mia moglie, che è sotto processo, non posso sentirla. Tra noi, che siamo sposati da 18 anni, non può però finire così. Sento telefonicamente mio figlio, che ha 15 anni e vive con la sorella a Montecarlo». La sorella è Francesca, 22 anni, figlia di Chiara Rizzo che l’aveva avuta da un precedente matrimonio, «ma che ho sempre considerato mia figlia. Francesca spiega  Matacena non vuole più parlarmi. Mi ritiene colpevole della situazione che sta soffrendo la madre e posso comprenderla». La sua speranza è quella di riunire prima o poi la famiglia. «Se l’Italia non riesce a far scontare una condanna entro il doppio degli anni della pena spiega quella condanna decade. Io sono qui da un anno ed essendo stato condannato a tre anni, devo rimanerne a Dubai altri 5». Infine, ipotizza di presentare una richiesta di grazia al capo dello Stato, «ma prima aspetto che altre cose arrivino a soluzione»: ovvero un ricorso, che i suoi avvocati stanno depositando, per chiedere la revisione della sentenza ed un ricorso alla Corte Europea di Strasburgo.

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