È un silenzio fragoroso, quasi assordante, quello degli imprenditori calabresi di Confindustria sui temi della difesa (non a parole ma con atti e gesti concreti, a cominciare dalle denunce che erano e continuano a rimanere merce davvero rara...) della legalità. Ed «a quei miei colleghi troppo silenti» ieri mattina si è rivolto direttamente Ivan Lo Bello, vicepresidente nazionale di Confindustria ma, soprattutto, motore propulsivo alcuni anni fa della rivolta degli industriali siciliani (non tutti, ovviamente) che hanno scelto di non piegarsi al ricatto mafioso. Una strigliata in piena regola, anche se lui preferisce definirla un “appello” ad aprire un varco in quel muro di reticenza ed omertà, tenuto saldamente in piedi da quel poderoso collante che è la paura, che impedisce ad una terra come la Calabria, «alle tante eccellenze che pure qui esistono», di potersi pienamente esprimere. Ieri mattina Ivan Lo Bello la scelta di campo chiara ed inequivocabile dell'imprenditoria sana in favore della legalità senza se e senza ma, del pieno rispetto delle regole in nome della trasparenza e del merito, l'ha ribadita nel corso del suo intervento alla tavola rotonda su “Legalità come fattore di sviluppo”, svoltasi presso l’aula magna “Quistelli” dell’università Mediterranea. «È una Calabria divisa in due quella che abbiamo sotto i nostri occhi. Una è quella che lavora, fatta di tantissima gente perbene, di tante istituzioni attente, di magistrati e forze dell'ordine che operano con grande professionalità e coraggio – ha osservato Ivan Lo Bello – e poi c'è la Calabria segnata dalla presenza della ’ndrangheta, l'organizzazione mafiosa più importante d'Italia, una mafia globale che non è contenuta nei confini geografici di questa regione e che ha addentellati in tante parti del mondo. Nel mezzo c’è un “pezzo” della società che manifesta una grande debolezza civica». Diagnosi chiara. La possibile cura? «Il percorso mi appare ancora lungo. Quello che manca oggi non è certo la capacità investigativa e repressiva delle forze dell'ordine e della magistratura come dimostra l'eccellente lavoro dei magistrati proprio di Reggio. Quel che serve è affrancarci dall’idea che la lotta alla criminalità debba coinvolgere solo forze dell’ordine e magistratura. La società civile e le istituzioni svolgono un importante ruolo: la loro capacità rappresenta il principale fattore di crescita». Confindustria in Sicilia ha avuto un ruolo strategico nel determinare un moto di rivolta delle coscienze: è un “modello” esportabile in Calabria? «Non parlerei proprio di modelli. Certamente Confindustria deve avere, ovunque, anche un ruolo sociale. In una realtà complicata come questa, con le criticità che emergono, specie sociali, occorre svolgere una funzione sociale. Non ci si può chiudere in una stanza, nei propri uffici. Spero che, a breve, i miei colleghi possano svolgere una funzione importante sui questo territorio. E questo ovviamente non riguarda solamente Confindustria. Da sola una repressione giudiziaria forte, che comunque è fondamentale, non basta: occorre che accanto vi siano una società civile ed economica altrettanto forti, ben radicate sul territorio. Deve essere ben chiaro ad ognuno che senza regole, senza mercato, senza efficace ed effettivo contrasto alla criminalità, non si va da nessuna parte». -’Ndrangheta e corruzione: l'imprenditoria sana cosa deve temere di più? «Molto spesso mafie e corruzione stanno assieme. Basta guardare quel che è accaduto con l'inchiesta “mafia capitale” a Roma: l'indagine ha portato alla luce un sistema nel quale veniva utilizzato il metodo mafioso e l'attività generalizzata era la corruzione. Il tema, inoltre, è legato ad aree di mercato, a regole che non funzionano come negli appalti pubblici. Un settore quest'ultimo nel quale è necessario cambiare passo, cambiare sistema: quello attuale non crea reale ricchezza ed alimenta profonde distorsioni del mercato».