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Il boss Luca Bruni tradito dai guardaspalle

 Morire da boss. Luca Bruni, 36 anni, sapeva d’essere finito in trappola. Immaginava che quello strano appuntamento al quale i suoi più fidati “guardaspalle” dovevano accompagnarlo poteva rivelarsi fatale. «Devo andare –disse tuttavia al suo sodale Ernesto Foggetti – sono un “uomo d’onore”e non posso sottrarmi a situazioni del genere». Il rischio era alto: Daniele Lamanna e Adolfo Foggetti, compagni di giovinezza e di malavita, gli avevano detto che aspettavano d’incontrarlo due boss latitanti, Ettore Lanzino e Franco Presta, per discutere di affari criminali. Bruni era uscito dal carcere solo da pochi giorni ed essendo “reggente” d’un clan non poteva evitare il confronto. Lui era a capo della “famiglia” dopo la morte del fratello Michele, ucciso in carcere da un male incurabile. E chi comanda non può mostrarsi timoroso, né declinare appuntamenti con altri “capi”. Proprio il fratello Michele, tuttavia, sul letto di morte, gli aveva raccomandato di non fidarsi di nessuno e di “guardarsi”anche da «Daniele e Adolfo». E proprio come nel “Padrino”di Mario Puzo – “chi ti proporrà un incontro sarà il traditore” spiegava don Vito Corleone al figlio Michael – Lamanna e Foggetti si fecero latori della richiesta di confronto avanzata dai due capibastone. Un confronto che, invece, Presta e Lanzino non avevano mai sollecitato. L’assassinio di Luca Bruni era stato deciso l’anno prima da un detenuto uscito in permesso premio, Franco Bruzzese, durante un summit convocato in un appartamento del centro di Cosenza. In quella occasione – alla faccia della Legge Gozzini e del sistema rieducativo e premiale previsto dal nostro ordinamento – il detenuto in “libera uscita” comunicò quanto fosse necessario ammazzare Luca Bruni perché, dopo il decesso del germano Michele, una volta tornato in libertà avrebbe preteso soldi e lo scettro di comando. Il racconto della riunione è stato fatto ai magistrati della Dda di Catanzaro da uno dei partecipanti che ha poi “firmato” il delitto: quell’Adolfo Foggetti (oggi pentito) che professava “amicizia” e “fedeltà” alla famiglia Bruni. Pure gli esponenti degli altri gruppi mafiosi vennero informati dell’intenzione di “silenziare” per sempre il “reggente” del clan. Per giustificare il colpo di mano interno, Bruzzese – secondo la confessione resa da Foggetti – mostrò ai “compari”i contenuti di alcune intercettazioni risalenti al 2007 dalle quali poteva evincersi, interpretando un linguaggio criptico, che Luca Bruni avesse intenzione di “cantare” passando dalla parte dello Stato. Non era vero, ma serviva a giustificare il delitto. Bruni lasciò il carcere nel dicembre del 2011 e il 3 gennaio del 2012 fu invitato dagli “amici” Daniele Lamanna e Adolfo Foggetti al famigerato incontro. Salì in auto con i “traditori”, dopo aver confidato al vecchio sodale Ernesto Foggetti (cugino di uno dei due presunti assassini) che quell’appuntamento non lo convinceva ma che non poteva sottrarsi. La vettura si diresse verso località “Feudo” di Castrolibero: la vittima era nervosa ma cercava di non mostrarlo. Giunti in un’area di campagna scese dal veicolo e Lamanna, che siedeva alle sue spalle, gli sparò subito un colpo alla nuca. Il trentaseienne cadde riverso sul terreno e fu finito con altri tre colpi di revolver calibro 38 (la 7,65 s’era inceppata). Il cadavere venne poi sepolto sotto un metro di terra umida da Maurizio Rango e Ettore Sottile; Lamanna e Foggetti, invece, si allontanarono provvedendo a disfarsi delle pistole e dei vestiti indossati. Ma siccome quello criminale è un mondo senza regole Adolfo Foggetti, temendo di fare la stessa fine del “reggente”, ha poi deciso di vuotare il sacco. Questi i fatti ricostruiti nell’ordinanza emessa ieri dal gip distrettuale, Giuseppe Perri, su richiesta del pm Pierpaolo Bruni e dei procuratori Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto. A Franco Bruzzese e Maurizio Rango il provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere. Daniele Lamanna, invece, è latitante. Sottile, infine, risulta solo indagato.

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