C’è una trama dolce e amara che risale dalla notte delle donne, la notte dell’8 marzo, nel Cosentino. Ed è una trama che profuma di mimose e di dolore. Dentro fermentano le storie vere di tre donne, tre vite che si sono intrecciate l’una alle altre in un impasto miracoloso di amore. La notte strana e magica comincia con una chiamata al “113”. La telefonata d’un anonimo che chiede aiuto per una donna che piange per strada in via Popilia. Una donna che urla, che chiede disperatamente aiuto, forse, perchè, aggredita. Dalla centrale operativa della questura di Cosenza, il capo delle Volanti, Cataldo Pignataro, invia una “pantera” che intorno alle 21.30 di sabato incrocia quella giovane donna in lacrime e in ginocchio che piange nel buio d’una notte fredda e umida. Tra i poliziotti c’è un’altra donna, l’assistente capo Luciana Maiolino, che (insieme ai colleghi-uomini, Reda, Librandi e Milione) si prende cura della poveretta in attesa dell’arrivo del “118”. Sembra una storia finita, un intervento di “routine” che sfuma quando sopraggiungono i sanitari e cominciano a visitare la paziente che più che pestata sembra piena di alcol. La donna parte per l’ospedale a bordo dell’ambulanza mentre gli agenti cominciano a indagare tra gli amici della poveretta, bruciata dalla vita da quando è nata e costretta dal destino a una maledetta esistenza. Cercano una traccia da utilizzare poi nel verbale che dovranno compilare alla fine del servizio. Escludere reati, coinvolgimenti di terze persone. All’“Annunziata”, dopo aver ritrovato la serenità e dopo alcune ore, la donna chiede ai medici di poter parlare con l’assistente di polizia Maiolino per confidarle il dolore che le fa più male. L’agente, informata telefonicamente, raggiunge in ospedale quella donna con il volto che sembra una maschera deformata dalla stanchezza e, forse, dai pensieri che s’inseguono nella sua mente confusa. Con un filo di voce farfuglia poche parole all’orecchio della poliziotta: «Andate a casa mia, dalle parti della cittadella universitaria di Arcavacata di Rende, lì troverete mia figlia, ha tre mesi, è rimasta da sola, ve la affido. È figlia mia e di un romeno...». La poliziotta comunica la novità alla centrale e riparte con i colleghi verso quella casa per salvare la terza donna di questa storia, una piccola donna di appena tre mesi che è chiusa da sola in casa, da almeno cinque ore, senza pappa, senza luce e senza riscaldamenti. Poco dopo la mezzanotte i poliziotti raggiungono quel tugurio dove vive quella donna con la sua bimba. Un’abitazione che di casa non ha quasi nulla, è un buco di pochi metri quadrati, senza finestre, senza luce, senza una stufa. Dentro una culletta vecchia e lercia c’è un cucciolo di donna, una bimba che piange per fame e per paura. Anche lei, come sua madre, è già bruciata dalla vita, condannata a un’esistenza difficile, a un’esistenza da ultima. L’assistente Maiolino e i suoi colleghi la tirano fuori da quel covo puzzolente e la portano in ospedale. Lei, a tre mesi, non può saperlo d’essere una miracolata nella notte delle donne.