Le parole del fratello. Battista Iannicelli ha raccontato i timori, i dubbi, le angosce, del germano Giuseppe, ucciso con il nipotino “Cocò” di appena tre anni e una donna marocchina, Betty Taoussa, il 16 gennaio dello scorso anno a Cassano. La deposizione resa da Iannicelli è da tempo oggetto di approfondimento da parte del pool di magistrati guidato dal procuratore distrettuale di Catanzaro, Antonio Vincenzo Lombardo, e composto dagli aggiunti Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto e dal pm antimafia Domenico Guarascio. Giuseppe Iannicelli, rimasto senza sostegno economico dopo un passato vissuto a contatto con il sottobosco criminale sibarita, aveva manifestato alla moglie la volontà di collaborare con la giustizia. Una volontà espressa in una lettera inviata alla moglie detenuta perché sospettata d’essere coinvolta in un giro di spaccio di sostanze stupefacenti. Della missiva, probabilmente distrutta dopo la ricezione, gl’inquirenti non hanno trovato traccia. Battista Iannicelli ha reso dichiarazioni agli investigatori dopo la morte del fratello e del nipotino e, oggi, il verbale è allegato agli atti dell’inchiesta “Gentleman” che ha disarticolato la cosca degli “zingari” attiva a Corigliano, Cassano, Sibari, Rossano, Policoro, Metaponto e Bernarda. Nel provvedimento di fermo notificato ai 33 indagati, accusati di associazione mafiosa e traffico di droga, è contenuto anche il verbale dell’interrogatorio reso nell’aprile dello scorso anno da Pasquale Perciaccante, inteso come “Cataruozzolo”, “azionista” della consorteria e condannato per l’omicidio del cosentino Gianfranco Iannuzzi del quale, nel 2007, ha fatto ritrovare il cadavere. Il pentito ha raccontato al procuratore Luberto dei rapporti che Giuseppe Iannicelli aveva con gli esponenti della criminalità nomade già alla fine degli anni ‘90. Rapporti spesso difficili. Battista Iannicelli, invece, ha precisato che il fratello ucciso girava abitualmente in compagnia del nipotino “Cocò” forse anche per paura di finire nel mirino dei killer. Il teste ha ribadito che il congiunto veniva spesso “convocato” nella frazione cassanese di “Timpone Rosso” sede logistica della criminalità nomade. Rimane difficile capire perché il piccolo “Cocò” non sia stato risparmiato dai sicari del nonno e della sua giovane amica marocchina. Il dubbio è che potesse essere in grado di riconoscere gli attentatori che – è solo una ipotesi investigativa – forse aveva visto già parlare in altre occasioni con il nonno.