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La chat telefonica dei narcos, 33 fermi

Trentatre fermi, quasi 4 tonnellate di droga intercettate prima che finissero sulle strade di mezza Italia, un arsenale sequestrato al culmine di un’imponente e delicata indagine sul connubio ’ndrangheta-narcotraffico. Ha queste significative dimensioni il bilancio di “Gentleman”, l’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che ha aperto uno squarcio inquietante sul potere ormai raggiunto dal feroce clan degli zingari di Cassano Jonio. Un gruppo criminale – secondo le risultanze investigative raccolte dalla Guardia di finanza nel decreto di fermo notificato ieri agli indagati – capace di intessere relazioni internazionali (in particolare con alcuni cartelli di narcos paraguaiani e albanesi) e di trattare alla pari con le ’ndrine provenienti da altre aree della Calabria, soprattutto dalla Piana di Gioia Tauro e dal Vibonese. Alla testa della consorteria, la Dda catanzarese mette tre persone: Luigi Abbruzzese, cassanese di 26 anni; Filippo Solimando, 46enne di Corigliano; Salvatore Nino Ginese, 43enne anche lui coriglianese. Al loro fianco una schiera di presunti broker e corrieri demandati allo smercio di cocaina, marijuana ed eroina nei territori di rispettiva competenza, dalla costa jonica cosentina e dalla Sibaritide alla Puglia, dalla Lombardia a buona parte della provincia di Matera. Un ruolo fondamentale viene poi attribuito a due inquisiti, accusati di aver fatto da tramite tra i clan calabresi e i narcos sudamericani: Carmine Alfonso Maiorano, 61enne coriglianese trapiantato in Argentina, insieme a Pedro Juan Petrusic, argentino residente a Terranova da Sibari. Altro personaggio di spicco dell’inchiesta è Alfonso Brandimarte, 38enne di Taurianova, l’uomo che avrebbe garantito il sicuro approdo della polvere bianca proveniente da oltreoceano (prevalentemente da San Paolo, in Brasile) nel porto di Gioia Tauro. Brandimarte sarebbe anche il promotore dello scambio di armi, destinate ai “compari” cosentini, che i finanzieri hanno bloccato nel marzo scorso a Rizziconi. In quell’occasione furono rinvenuti dieci kalashnikov, due mitragliette Skorpion e cinque pistole calibro 9 parabellum. Nel corso dell’indagine, tra i vari sequestri effettuati per complessive 3,8 tonnellate di stupefacenti, va ricordato l’arresto di tre pescatori coriglianesi sorpresi con una tonnellata di marijuana. La droga era stata caricata in alto mare dopo un incontro coi trafficanti albanesi seguito in diretta dalle fiamme gialle. La svolta alle investigazioni l’ha comunque data la scoperta del sistema di comunicazione dell’ipotetica gang. Tutti i contatti avvenivano infatti attraverso il servizio chat del Blackberry, un telefonino ritenuto dagli indagati a prova di intercettazione. Tra le pieghe dell’in - chiesta spunta infine la testimonianza del pentito Pasquale Perciaccante, ex affiliato al clan degli zingari, che parla di Giuseppe Iannicelli, l’uomo trucidato nel gennaio 2014 insieme alla compagna e al nipotino Cocò Campolongo di appena tre anni. Il collaboratore sostiene che il padre di Luigi Abbruzzese, Francesco alias “Dentuzzo” (storico capoclan da tempo detenuto), e Filippo Solimando avrebbero minacciato Iannicelli, colpevole di non gestire al meglio il traffico di droga nell’area di Cassano. 

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