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Omicidio Musy, ergastolo per Furchì

 Colpevole. Il calabrese Francesco Furchì è il misterioso uomo con il casco che il 21 marzo 2012 sparò al consigliere comunale torinese Alberto Musy. L’hanno deciso i giudici della Corte d’assise di Torino che, al termine del processo, hanno condannato l’imputato all’ergastolo. «Sono innocente», ha mormorato Furchì prima di essere scortato fuori dall’aula e rientrare nel carcere delle Vallette, dove è rinchiuso da due anni esatti. «Non è giusto, non è giusto», continuava a ripetere ai suoi avvocati mentre il presidente Pietro Capello leggeva il dispositivo. «Finalmente posso tornare a casa dalle mie quattro bambine e spiegare cosa è successo al loro papà», ha commentato la vedova, Angelica Corporandi d’Auvare. Musy venne ferito da cinque colpi di pistola nell’androne della sua casa del centro storico di Torino, in via Barbaroux, e morì in una clinica dopo 19 mesi di agonia. Il caso sconvolse la città: Musy era capogruppo dell’Udc in Sala Rossa, era uno stimato padre di famiglia, un avvocato civilista e un insegnante di diritto privato comparato all’Università a Novara. Un uomo senza nemici, almeno in apparenza. Perché le indagini della polizia, lunghe e laboriose, alla fine ne trovarono uno: Francesco Furchì, 52 anni, dipinto dalle carte del pm Roberto Furlan come un faccendiere rancoroso e violento. Saltò fuori che Musy per almeno tre volte rifiutò di assecondare i suoi maneggi e i suoi progetti politici (scalare la società Arenaways, entrare in consiglio comunale, raccomandare il figlio di un ex ministro). Ma nessuno ha riconosciuto l’uomo con il casco che, dopo avere sparato, scappò. Gli inquirenti hanno raccolto una massa di indizi e in aula hanno vinto, mentre l’av - vocato Giancarlo Pittelli, uno dei difensori di Furchì, parla di «discorso indiziario disseminato di forzature e falsi clamorosi». «In gioco – afferma – c’era l’urgente necessità di ricomporre al più presto la coesione sociale e il senso di tradizionale sicurezza compromessi in città da un delitto eccellente. Un’assoluzione avrebbe avuto effetti devastanti per molti». Un altro difensore di Furchì, Gaetano Pecorella, ha sostenuto la tesi dell’omicidio casuale: «Lo dicono le stesse carte dell’indagine. Musy, rientrando a casa, sorprese qualcuno in cortile, chiese spiegazioni e venne ferito da una mano maldestra. Non si è mai visto un agguato preordinato in quel modo e in quel luogo». Restano ancora dei misteri: l’esistenza di un complice, il destino della pistola mai ritrovata. E resta aperto, per Furchì, un altro capitolo: un processo per i maltrattamenti a moglie e figlie che terminerà dopodomani. La Corte d’assise, con la sentenza di oggi, lo ha dichiarato «decaduto dalla potestà genitoriale». 

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