
Risolto in una manciata di ore la dinamica dell’omicidio di Michele Brandimarte, il 53enne reggino di Gioia Tauro ucciso a Vittoria (Ragusa) nel tardo pomeriggio di domenica. L’omicida, anche lui di Gioia Tauro, è il 23enne Domenico Italiano. Alle 23,30 di domenica si è presentato al commissariato di Polizia di Gioia Tauro ammettendo di essere l’assassino. Una confessione in piena regola, rafforzata dalla consegna dell'arma del delitto: una pistola calibro 9 «compatibile», secondo una prima verifica degli esperti della Scientifica, con i sette colpi esplosi all’indirizzo della vittima. La conferma che si tratti effettivamente dell’arma del delitto sarà fornita dal responso degli esperti della sezione balistica della Questura di Reggio. L’autore Domenico Italiano, interrogato dai magistrati della Procura di Palmi, è stato sottoposto a fermo per omicidio oltre al reato collaterale di porto e detenzione di arma clandestina. Si tratta di un personaggio, anche per la giovane età, di scarsa caratura criminale, letteralmente estraneo a qualsiasi collegamento con gli ambienti della criminalità organizzata. La polizia di Gioia Tauro ricorda l’unico precedente: il coinvolgimento in una vicenda per stalking. Da capire chi sia l’altro soggetto che sarebbe arrivato assieme a Domenico Italiano sul corso principale di Vittoria dove si è consumato l’omicidio. Per gli inquirenti ragusani, facendo affidamento sulle numerose testimonianze sulla scena del crimine, sarebbero stati due i killer entrati in azione per eliminare Brandimarte. Il movente Ha perso consistenza l’ipotesi di una nuova pagina della faida di Gioia Tauro tra la famiglia Brandimarte e i rivali dei Priolo che a partire dal 2011 si sono alternati in una serie di botte e risposte tra agguati, tentati omicidi e regolamenti di conti che ha contato cinque morti e una sesta persona rimasta in vita soltanto per una fortuita coincidenza. L’ipotesi faida si tenderebbe ad escludere per due distinte ragioni: intanto per la caratura, quasi irrilevante, del killer ridimensionato dalla scelta autonoma di consegnarsi alla giustizia confessando di essere stato lui ad esplodere i sette colpi di pistola. Secondo argomento è la scelta della località dove si è consumato il crimine. A Vittoria, in Sicilia. La regola delle faide di ’ndrangheta è affermare, invece, sul proprio territorio – quindi Gioia Tauro o l’area della Piana – la superiorità sugli avversari. Nemmeno la dinamica omicida farebbe rientrare l’omicidio nella tipologia dell’esecuzione mafiosa. Anzi rientrerebbe nei tipici casi di un chiarimento degenerato nel sangue. Sulle motivazioni del delitto gli inquirenti – in Sicilia come in Calabria – propenderebbero invece più su una divergenza per qualche affare illecito – una compravendita di droga tra le ipotesi privilegiate – non concluso secondo i patti. La vittima Di evidente spessore criminale la vittima, Michele Brandimarte. La sua famiglia vanta chiari collegamenti con la cosca Piromalli, la storica dinastia di ’ndrangheta di Gioia Tauro. Gli investigatori si stanno soffermando anche su una coincidenza che riguarda la data dell'omicidio: esattamente il 14 dicembre 2011 qualcuno aveva tentato di uccidere il fratello di Michele Brandimarte. Della famiglia Brandimarte, e dei quattro fratelli Michele, Antonio, Giuseppe e Alfonso, la Procura di Palmi si era più volte occupata anche nel recente passato. Giuseppe e Vincenzo Brandimarte nei mesi scorsi erano finiti in carcere nell’ambito dell’operazione antidroga “Puerto liberado”, condotta dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria che aveva smantellato un gruppo di narcotrafficanti dedito all’importazione di notevoli quantitativi di cocaina dal Sud America attraverso il porto di Gioia Tauro.
Caricamento commenti
Commenta la notizia