C’era una taglia sulla testa di Giuseppe Giampà. I Torcasio avevano deciso di sborsare anche 100 mila euro pur di vedere morto il boss che aveva decimato il clan di Capizzaglie. Tutto è accaduto soltanto sei anni fa. Il figlio del “Professore” l’aveva detto a Saverio Cappello, e quello che era uno dei suoi killer ieri mattina l’ha raccontato in aula al processo “Perseo” in cui è imputato un terzo degli arrestati dell’omonima operazione scattata nell’estate 2012. Ecco perchè il boss aveva sentenziato l’eliminazione di Bruno Cittadino, autista d’ambulanze, che aveva sposato una Torcasio e s’era trovato invischiato in alcune operazioni antimafia. Il 37enne che aveva diffuso la taglia per Giampà è morto sull’asfalto di Via Duca D’Aosta, accanto alla Pietà. A spararagli era stato mandato Francesco Vasile, killer dei Giampà. Racconta Saverio Cappello da collaboratore di giustizia che dopo l’omicidio con Giuseppe Giampà, Maurizio Molinaro e le rispettive moli aveva organizzato una cena in un ristorante «dove non potevamo essere intercettati». Il giovane boss ordinò una bottiglia di champagne e quando la stappò disse: «Brindiamo a quel cornuto». Era Bruno Cittadino appena ammazzato. Una guerra sanguinosa quella tra i Giampà di Via del Progresso, contro i Torcasio di Capizzaglie ed i Gualtieri del Timpone. Saverio Cappello, che faceva pate di “quelli della montagna”, cioè del clan Cappello-Arcieri di Bella, in videoconferenza nel processo ricorda che nel 2006 si parlava di pax mafiosa. «La cercava Antonio Gualtieri tramite Nino Cerra. S’erano avvicinati a Pasquale Giampà “Millelire”». Anche nel carcere di Siano alcuni Gualtieri volevano ingraziarsi Giuseppe Giampà. «Ci furono delle riunioni. Alcune nella stalla di Pasquale “Millelire”, con esponenti di cosche di Reggio. Erano stati invitati anche i capi del clan Iannazzo, ma fecero sapere che non volevano riappacificarsi con i Gualtieri, che non volevano averci nulla a che fare». I Giampà però avevano mangiato la foglia. Cappello: «Abbiamo pensato che fosse solo una strategia dei Torcasio-Cerra-Gualtieri per distrarci e poi attaccarci alle spalle». Rivela ancora: «Giusepper Giampà ci disse che suo padre dal carcere di Bologna gli aveva fatto sapere di essere contrario alla pace con i Gualtieri. E che ci invitava a guardarci le spalle. L’unico che ci credeva era “Millelire”. Ma era tutta una montatura». La verità venne a galla quando Pasquale “Millelire” fu convocato al commissariato di polizia. Secondo il pentito, gli dissero che era in forte pericolo i vita, avevano saputo che qualcuno voleva ucciderlo. Un confidente? Un’intercettazione? Un documento trovato da qualche parte? Può darsi. Ma da allora i Giampà non si fecero più abbindolare da false richieste di pax mafiosa.
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