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Omicida in fuga dagli investigatori, indagato presunto favoreggiatore

  L’ombra d’un complice. Un’«anima nera» che potrebbe aver agevolato la fuga dell’omicida. Una fuga cominciata dopo il goffo tentativo di disfarsi del cadavere della vittima. In senso “tecnico” si tratterebbe di un favoreggiatore già individuato dai carabinieri e sottoposto a interrogatorio. Il riserbo mantenuto dalla Procura diretta da Bruno Giordano è tuttavia assoluto. L’impressione è che il «favoreggiatore » possa essere finito sott’inchiesta anche per false dichiarazioni al pubblico ministero. La ragione? Avrebbe nascosto precise circostanze agli inquirenti per celare le mosse del latitante. Francesco Garritano è, infatti, un omicida ricercato da giorni. Ha ucciso la convivente, Maria Vommaro, 56 anni, sferrandole una bastonata alla testa. Poi ne ha ricomposto il corpo, legandolo con delle spago in più punti: gli arti inferiori e superiori sono stati bloccati lungo il dorso ripetendo la macabra usanza dell’«incaprettamento» cara alle mafie. Poi il cadavere è stato sistemato dentro buste di plastica nere e chiuso nel baule d’una autovettura. Cosa sia successivamente accaduto nessuno è, al momento, in grado di dirlo con certezza. Garritano, evidentemente, aveva pensato di disfarsi della salma e un imprevisto deve avergli impedito di farlo. All’inizio s’era ipotizzato che la sua assenza dalla scena del delitto potesse essere collegata a un suicidio. Nei crimini “relazionali” l’offender compie – come è statisticamente dimostrato – scelte autodistruttive. Nessuno che intenda però togliersi la vita, programma di far sparire il corpo della vittima che ha appena ucciso. Né ripulisce dalle macchie di sangue la stanza in cui ha commesso il crimine. Non solo. Alcuni testimoni hanno riferito ai carabinieri del colonnello Giuseppe Brancati d’aver notato l’assassino allontanarsi a piedi da Fiumefreddo Bruzio, luogo del fatto di sangue, in direzione di Amantea seguendo la linea ferrata. I testi parlano d’un borsone che l’uomo aveva con sé. Se così fosse significherebbe che Garritano ha tagliato la corda raggiungendo la più vicina stazione ferroviaria; oppure ottenuto appoggio da qualcuno che gli ha offerto un passaggio in auto verso un luogo ancora imprecisato; o che gli ha assicurato un sicuro nascondiglio dove sistemarsi per sfuggire alle ricerche dei militari dell’Arma. D’altronde, che non si fosse suicidato, il comandante del Reparto operativo, Vincenzo Franzese, l’aveva supposto sin dal momento del ritrovamento del cadavere della Vommaro. È per questo che gl’investigatori della Benemerita avevano subito disposto battute a largo raggio e interrogato parenti, amici e vicini di casa del fuggiasco. Il tenente Antonio Villano e il maresciallo Domenico Lio sono riusciti a ricostruire il percorso seguito dall’omicida sino ad una pineta che lambisce l’abitato di Amantea. Poi, incrociando le informazioni raccolte, hanno rilevato una serie di discordanze nelle testimonianze acquisite: troppe cose non collimavano, qualcuno non aveva detto la verità. Da qui la decisione della Procura di Paola di procedere a nuovi interrogatori a conclusione dei quali sarebbe arrivata la prima svolta investigativo- giudiziaria collegata alla presenza d’un presunto favoreggiatore. Rimane da capire quale circostanza abbia costretto l’imprenditore ad allontanarsi frettolosamente dalla scena del crimine senza far sparire i resti della cinquantaseienne. È probabile che questa terza persona conosca la risposta ma non intenda rivelarla. Francesco Garritano potrebbe non essersi mai allontanato dalla Calabria, trovando magari «ospitalità » in una delle tante villette della fascia tirrenica del Cosentino abitate solo d’estate. Un immobile dove, però, riesce a riceve appoggio e notizie da qualcuno. Diceva George Simenon in uno dei suoi celebri romanzi: «Non si può restare alla macchia senza contare su indispensabili complici ». Verissimo.

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