Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

“Cetta” Cacciola nella morsa della famiglia e delle cosche

Il dramma infinito di “Cetta” Cacciola, la testimone di giustizia di Rosarno che si è uccisa per liberarsi dalle grinfie della famiglia. Dei genitori, del fratello, e dei legali “ingaggiati” per tapparle la bocca dopo che aveva scelto di collaborare con la Dda di Reggio. La morte di Concetta Cacciola, stroncata il 20 agosto 2011 da un sorso di acido muriatico, è costata la condanna del padre Michele Cacciola (sei anni e sei mesi di carcere), del fratello Giuseppe (cinque anni e otto mesi), della madre Anna Rosalba Lazzaro (quattro anni e dieci mesi). Carcere (quattro anni e sei mesi) anche per l’avvocato Vittorio Pisani. Adesso sono state rese note le motivazioni della sentenza del gup di Reggio, Davide Lauro. Un «progetto condiviso» dalla famiglia Cacciola e dai penalisti Vittorio Pisani e Gregorio Cacciola (a giudizio con il rito ordinario): «L’intero disegno criminoso finalizzato essenzialmente alla tutela delle ragioni della famiglia Bellocco. Si è già detto delle accuse formulate da Maria Concetta Cacciola a carico di svariati componenti della famiglia Bellocco; si noti che le accuse avevano riguardato anche altri soggetti, ma quelle più gravi, a quanto è dato comprendere, inerivano strettamente alla famiglia Bellocco (omicidi, fatti di usura, estorsione)». Una drammatica vicenda vissuta tra le mura della famiglia rosarnese, gente asservita alla cosca Bellocco. Rimarca il gup: «Mura tra le quali la donna aveva patito penose umiliazioni, insostenibili limitazioni delle più elementari libertà, il tutto in nome delle regole ferree dell'apparenza, dove il tema dell'onore è piegato a logiche ataviche, piega i destini e cancella ogni slancio». D’altro canto a sostegno delle accuse della triade dipm (Giovanni Musarò, Alessandra Cerreti e Giulia Masci) ci sono agli atti dibattimentali una marea di intercettazioni. Parole aberranti per soffocare il coraggio di “Cetta” Cacciola di denunciare le 'ndrine di Rosarno e la propria famiglia. Un dramma che il gup Lauro cristallizza in sentenza: «In quei contesti, in quelle famiglie, in quei territori, una pentita è una disgrazia che deve essere affrontata».   

Oggi in edicola

Prima pagina

Caricamento commenti

Commenta la notizia