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Bracciante ucciso a colpi di lupara. È vendetta?

Tuona la lupara di buon mattino nelle campagne di contrada Palazzo. Due colpi sparati a bruciapelo da breve distanza lasciano a terra il bracciante agricolo Francesco Antonio Alvaro di 39 anni, alias “u nolu”. Erano da poco trascorse le sei di ieri mattina quando l’uomo era intento a pascolare la sua piccola mandria di ovini, nel silenzio di una mattinata afosa dopo le piogge dei giorni scorsi. In lontananza si sentivano le campane della chiesa parrocchiale che chiamavano a raccolta i fedeli per la prima messa, le pecore pascolavano allegramente accompagnate dal frinire delle cicale. All’improvviso la quiete mattutina viene squarciata da due colpi di lupara e, pare, da un colpo di pistola che raggiungono al petto e alla testa il giovane pastore. “U nolu” stramazza al suolo, in una pozza di sangue, mentre le pecore senza guida, scappano per la campagna circostante. L’uomo, secondo le prime indagini dei carabinieri, ieri sera era uscito di casa ed era andato in un locale. Successivamente di lui si erano perse le tracce, dal momento che non era tornato a casa. È stato il fratello a trovare il corpo in un terreno vicino al cimitero di Sinopoli e ad avvertire i carabinieri. In un battibaleno la notizia fa il giro del paese e sono in molti a recarsi nel quartiere Fiera, presso l’abitazione dove la vittima risiedeva insieme ai genitori e ai due figli. Sul posto dell’omicidio i carabinieri della compagnia di Palmi, al comando del capitano Maurizio Deangelis, quelli di Sinopoli con il maresciallo Francesco Montalbano, coordinati dal sostituto procuratore Giulia Masci. Vengono avviate le prime indagini per fare luce sull’omicidio del pastore, il cui corpo è piantonato dai militari in attesa dell’arrivo da Messina del medico legale. Trascorrono le ore, ai militari si aggiungono i colleghi del reparto speciale dei Cacciatori. È un susseguirsi di telefonate, di rilievi da parte degli uomini della scientifica. I raggi del sole riscaldano la scena del delitto. Auto dei carabinieri, auto civetta e jeep s’incrociano lungo la stretta stradina con le auto di qualche parente della vittima, forse chiamato ad identificare il cadavere del congiunto. Le cicale continuano il loro canto, mentre i carabinieri setacciano palmo a palmo la brulla terra, rovistando tra le sterpaglie alla ricerca delle cartucce dell’arma, o delle armi, che hanno messo fine alla vita del pastore sinopolese. Nel frattempo arriva da Messina il medico legale, viene scostato il lenzuolo bianco che copre il corpo senza vita della vittima per dare la possibilità allo specialista di medicina legale di prendere visione della salma e quindi stilare il referto. In seguito il cadavere viene trasportato, a cura di un’agenzia di pompe funebri locale, presso l’obitorio del nosocomio di Polistena dove oggi è previsto l’esame autoptico. Francesco Antonio Alvaro nel giugno del 2001 aveva assassinato la moglie, Domenica Penna di appena 23 anni, uccidendola a coltellate mentre si trovava ricoverata nell’ospedale di Scilla a causa di continue crisi d’ansia. Costituitosi dopo l’accaduto presso la Questura di Reggio Calabria, il pastore venne condannato a 11 anni di reclusione, trascorsi tre anni in carcere finì di scontare la pena agli arresti domiciliari. Francesco Antonio Alvaro, tornato in libertà, conduceva la sua vita in modo assai ritirato, perlopiù badando al suo gregge, unica fonte di sostentamento per sè e i due figli. Ha fatto la fine di un boss, Francesco Alvaro, ma non era secondo quanto emerso dalle indagini svolte dai carabinieri, un esponente di primo piano della 'ndrangheta. Malgrado il cognome, non era affiliato alla cosca Alvaro. Da qui quindi l'ipotesi, ancora tutta da verificare, di un possibile collegamento col suo terribile precedente.

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