Lo hanno ammazzato come un pericoloso boss nella più brutale delle vendette. Centrato da una pistolettata in testa e dato alle fiamme in una impervia contrada di Cassano. Ma quello scheletro rinvenuto nel gennaio scorso dopo quattro giorni di ricerche non apparteneva né a un capoclan e né a un “giovane d’onore”: quelle erano infatti le ossa di un bambino di appena tre anni. La storia del piccolo Nicola “Cocò” Campolongo, trucidato insieme al nonno Giuseppe Iannicelli e alla compagna maghrebina “Betty” Taoussa, è ovviamente rimbalzata su giornali e televisioni nazionali e internazionali per la sua allucinante tragicità. Ma sullo sfondo di tale orrore c’è la vicenda umana di una famiglia da tempo segnata: dall’illegalità in primo luogo, perché diversi parenti del bambino –a cominciare dal padre Nicola – si trovano in carcere. E anche quel piccoletto, a dispetto della tenerissima età, ne aveva viste di tutti i colori. Assaggiando pure la vita in galera, al fianco della mamma Antonia Iannicelli finità più volte in manette. Cocò aveva comunque due sorelline, da gennaio ancora più frastornate per quello che gli sta accadendo attorno. Due frugolette che con le brutte storie dei grandi non hanno e non dovrebbero avere nulla a che fare. Per questo Franco Corbelli –leader del movimento “Diritti civili”che aveva più volte denunciato la situazione dei Campolongo ben prima della tragica fine di Cocò – si sta battendo per restituire un minimo di normalità alle due bambine. E un altro risultato l’ha raggiunto: le sorelline del bimbo noto per la sua memoria di ferro potranno finalmente rivedere il papà, recluso nel carcere di Castrovillari. La mamma è stata infatti autorizzata ad accompagnare le figliolette nel penitenziario, dove il prossimo 7 giugno ai detenuti sarà permesso di stare qualche ora con i loro bambini. Manciate di minuti che spettavano anche a Cocò. Purtroppo, qualcuno che non è stato ancora individuato per lui ha deciso diversamente. Macchiandosi di una colpa mostruosa e indelebile.
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