Soldi della 'ndrangheta riciclati e reinvestiti per portare avanti affari leciti in Emilia, attraverso società intestate a prestanome attive soprattutto nell'autotrasporto e nel movimento terra. Denaro e beni riconducibili in larga parte a Michele Pugliese alias Michele 'la Papera', 38 anni, ritenuto punto di riferimento dell'organizzazione e uomo di spicco delle cosche Arena e Nicoscia di Isola di Capo Rizzuto (Crotone).
Insieme ad altre 12 persone, sei donne tra cui la ex compagna Caterina Tipaldi, chiamata dagli inquirenti 'zarina' per l'ascendente che aveva sui complici, Pugliese è stato raggiunto da una misura di custodia cautelare emessa dal Gip di Bologna Letizio Magliaro. In sette, tra cui un fratello e una sorella del 'dominus', sono in carcere, sei ai domiciliari. Per tutti c'è l'aggravante del metodo mafioso e dell'agevolazione di associazioni di stampo mafioso. Sono una trentina le perquisizioni dei carabinieri di Bologna, Reggio Emilia, Modena e Crotone, che hanno riunito due distinte indagini e tirato le fila di una complessa rete di relazioni familiari. E' di almeno 13 milioni il valore dei beni sequestrati tra aziende, due alberghi in Calabria, trattori, rimorchi e conti bancari. Le indagini dei carabinieri coordinati dalla pm della Dda Marco Mescolini si basano sull'ipotesi investigativa, recepita dall'ordinanza, che Michele Pugliese, colpito da sequestri nell'ambito dell'indagine 'Pandora' di Catanzaro, abbia intestato i beni all'ex compagna (la relazione si interruppe nel 2011) e ad altri, per eludere misure di prevenzione e continuare comunque a gestire attività che fruttano denaro. Per dirla con il comandante provinciale dei militari di Reggio Emilia, colonnello Paolo Zito, l'operazione ha confermato il "contesto in cui operano le 'ndrine nel territorio emiliano, così come evidenziato nell'ultima relazione della Dna. Un contesto, cioè, di delocalizzazione: pur essendoci dei riferimenti diretti alla 'casa madre' c'è una forma di autonomia gestionale".
Ad imbattersi negli stessi nomi sono stati, appunto, due filoni, uno dei carabinieri di Reggio Emilia, l'altra dei militari di Bologna. Il primo trae origine da una denuncia della Camera di Commercio del 2010, che poi portò a verifiche su una società di autotrasporti a Gualtieri. La seconda, a seguito di incendi di escavatori, novembre 2011, in una cava di Castel Maggiore e il conseguente accertamento di una presenza della famiglia Tipaldi nella zona di Sala Bolognese. L'ordinanza eseguita all'alba era stata emessa il 31 marzo: fa seguito, però, ad una richiesta della Procura risalente a dieci mesi fa, il 10 giugno 2013.
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