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Evade Domenico Cutrì
ucciso il fratello

Un commando armato poco dopo le 15 ha assaltato un furgone della polizia penitenziaria a Gallarate (Varese), in via Milano, vicino al Tribunale e ha liberato un detenuto, Domenico Cutrì, di origini calabresi.  Secondo le prime informazioni sono stati esplosi alcuni colpi di pistola ed è morta una persona, proprio il fratello di Cutrì.

Sono quattro le persone che hanno partecipato all'assalto che ha portato alla liberazione dell'ergastolano Domenico Cutrì. Tra loro il fratello dell'uomo, deceduto nel conflitto a fuoco con gli agenti di polizia e scaricato dai complici già morto davanti all'ospedale di Magenta. Gli assalitori hanno agito vicino alla porta d'ingresso del Tribunale di Gallarate dove, armati di pistola e di spray urticante, hanno sorpreso gli agenti che stavano accompagnando all'esterno il detenuto al termine di una udienza. E' scoppiata una colluttazione e sono stati sparati alcuni colpi di pistola. I banditi hanno quindi liberato il detenuto e sono fuggiti a bordo di un'auto, sulla quale hanno caricato anche il ferito. Polizia e carabinieri hanno allestito dei posti di blocco per intercettare l'auto in fuga, e sono in corso i rilievi sulla seconda vettura dei malviventi, sequestrata, con a bordo alcune armi, tra cui fucili da assalto.

Scontava una pena all'ergastolo per omicidio Domenico Cutrì. L'uomo era stato condannato in appello per l'uccisione di Luckasz Kobrzeniecki, un polacco di 22 anni freddato a colpi di pistola nel 2006 a Trecate (Novara). Cutrì, secondo le accuse, era al volante dell'auto da cui partirono gli spari che la notte del 15 giugno di otto anni fa uccisero la vittima. Arrestato tre anni dopo, si è sempre professato innocente. La condanna in primo grado nel luglio 2011.

Cutrì, sempre secondo l'accusa, fece eliminare Kobrzeniecki perché riteneva che avesse fatto delle avances alla sua fidanzata. A compiere materialmente l'omicidio Manuel Martelli, condannato nell'ottobre 2012 a 16 anni di carcere con il rito abbreviato. Tre anni per lo stesso omicidio a Luca Greco, imputato di favoreggiamento (avrebbe intralciato le indagini e fornito un alibi fasullo a Cutrì). Nel processo d'appello a favore di Cutrì, difeso dall'avvocato Giulia Bongiorno, testimoniò una donna di origini calabresi, sostenendo che all'ora del delitto avevano avuto un appuntamento galante nell'abitazione di Cutrì. Una versione emersa soltanto a distanza di anni, perché la donna temeva che il marito potesse scoprire quella relazione clandestina. L'alibi, però, non convinse il procuratore generale di Torino Vittorio Corsi, che dispose ulteriori accertamenti. A smontarlo le testimonianze del titolare e del portiere di un albergo di Vittuone (Milano), dove l'uomo si trovava realmente come hanno poi confermato anche i registri dell'hotel.

La famiglia di Cutrì emigrò negli anni '60 da Melicuccà (Reggio Calabria), suo paese d'origine, prima in Piemonte e poi in Lombardia. Le ricerche dell'evaso sono state estese anche alla Calabria nell'ipotesi, che al momento comunque non ha trovato alcun riscontro, che l'ergastolano possa avere trovato rifugio o appoggi anche nella regione.

Antonino Cutrì, l'uomo ucciso nel conflitto a fuoco con la polizia penitenziaria nel corso dell' evasione di suo fratello Domenico, era originario di Cuggiono (Milano). Ha una lunga lista di precedenti: estorsione, rapina, resistenza, armi, percosse, violenza privata. Secondo la prima ricostruzione sarebbe stato colpito da un solo proiettile. E' stata la madre di Antonino Cutrì a portare il figlio, in fin di vita, all'ospedale di Magenta. Lo ha confermato la polizia di Varese. Secondo la ricostruzione i banditi avrebbero portato il ferito in casa della donna a Cuggiono nel milanese, e lei lo ha portato in ospedale dove è morto. La donna è stata ascoltata dai carabinieri. L'ipotesi più plausibile, secondo gli investigatori, è che i fuggitivi siano passati a prendere la donna nella sua casa di Cuggiono (dove risiedeva anche la vittima) e che l'abbiano lasciata con il ferito davanti all'ospedale. Tale ricostruzione sarebbe confermata dalla difficoltà per una donna anziana di caricare un corpo in auto e dall'assenza della vettura utilizzata per il trasporto. (ANSA)

 

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