
«Con queste mie “memorie” spero di essere da esempio per tutti quei ragazzi che sono vicini alla ‘ndrangheta, da così avere la forza e la volontà di tornare indietro senza voltarsi prima che sia troppo tardi. E per quei bambini che, per colpa dei padri, abbiano la loro vita infelice, e non per colpa loro ma per chi ha deciso per loro». È uno dei passaggi - testuali - di uno scritto del collaboratore di Giustizia Antonino Belnome, 41 anni, originario di Guardavalle, ex padrino e capo locale di Giussano, in provincia di Milano, che dopo l’arresto avvenuto nel 2010 nell’àmbito dell’indagine “Infinito” ha deciso di saltare il fosso e raccontare la sua vita di ‘ndranghetista al procuratore aggiunto della Dda di Milano Ilda Boccassini, e successivamente a Nicola Gratteri, della Procura distrettuale di Reggio Calabria. Belnome, dopo l’arresto, ha condensato in 49 pagine manoscritte, rigorosamente in stampatello maiuscolo, sottotitolate «con la speranza di un mondo migliore » le sue memorie di «ex padrino », «iniziate a scrivere nel duemila e dieci e terminate di scrivere nel duemila e undici con un augurio, che tutte le persone possano cambiare perché nella vita se lo si vuole si può cambiare, imparando con “umiltà” a riconoscere i propri errori senza paure, perché penso che più l’uomo si allontana da “Dio” e più diventa un “mostro”. Essere amati profondamente da qualcuno ci rende “forti”, amare profondamente ci rende “coraggiosi”». «Quando ero piccolo - racconta Belnome - mio padre era in carcere e quando gli altri bambini andavano a scuola io, un giorno alla settimana, andavo a trovarlo a fargli il cosiddetto colloquio con mia madre, che dopo un certo periodo non riuscendo più a conciliare il suo lavoro con i colloqui e con la nostra cura, mia e di mia sorella, decise di mandarci in Calabria dai nonni». Quel distacco obbligato ha segnato profondamente la fanciullezza del collaboratore, che sottolinea: «Ricordo le pene e sofferenze che passammo io e mia sorella perché non c’è cosa più importante per dei bambini dell’affetto della propria mamma e papà, non c’è dono più prezioso al mondo per un genitore dei propri figli, solo chi non li ha non può capire di questo valore che Dio ci ha regalato con amore».
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