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La verità sul suicidio
che sembra un omicidio

Non si stancano di sperare in una svolta investigativa Giovanni e Ida, i genitori di Gianfranco Viteritti, il trentaquattrenne di Luzzi rinvenuto cadavere il 24 marzo 2010 in un garage attiguo alla sua abitazione di Luzzi, cittadina dell’hinterland cosentino. Aveva una cintura da pantaloni stretta attorno al collo e penzolava dal soffitto. Sembrava un suicidio, parevano esserci pochi dubbi, ma i genitori dell’operaio non ci hanno mai creduto lottando affinché si indagasse a fondo perché erano e restano convinti che Gianfranco non si è ucciso. Per non lasciare nulla al caso si sono affidati a un consulente che ha realizzato una perizia tecnica relativa alla compatibilità dello stato dei luoghi e delle cose con l’ipotesi del suicidio, escludendo la possibilità che il giovane si sia tolto la vita. Anzitutto a questa ricostruzione i legali della famiglia Viteritti si sono affidati per sostenere il ricorso in Cassazione contro l’archiviazione delle indagini sul caso. La suprema corte ha “sposato” la linea tracciata dai legali che assistono i genitori del trentaquattrenne, rimandando adesso il caso all’esame della Procura cosentina. Il prossimo 2 ottobre si svolgerà l’udienza per mettere la parola fine sulla vicenda.

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