Ieri Silas De Marco, il superstite e supertestimone della strage di San Lorenzo, ha deposto per nove ore nell’aula bunker di Rebibbia, davanti alla Corte di assise di Cosenza presieduta da Giovanni Garofalo. Ai giudici che stanno processando Salvatore Scorza e Domenico Scarola, accusati d’essere i responsabili dell’omicidio della mamma e della sorella, uccise il 16 febbraio 2011 nella loro abitazione nel piccolo centro dell’entroterra cosentino, Silas ha ripetuto quanto già dichiarato nel luglio del 2012 agli inquirenti della Dda. Ma non è stato facile. I legali degli imputati, gli avvocati Luca Acciardi, Lucio e Carlo Esbardo, l’hanno incalzato con mille domande, ponendo in rilievo incertezze e contraddizioni. Con il pubblico ministero antimafia Vincenzo Luberto è stata una vera e propria battaglia. Il supertestimone ha confermato tutte le accuse, lasciando tuttavia spazio a un dubbio di non poco conto: perché non parlò subito? «Per paura», ha spiegato più volte. «Solo per paura». Silas De Marco ha indicato come mandante della strage il boss Franco Presta, che non è neanche imputato in questo processo. E in aula è scoppiata una bagarre.