La “repubblica della ‘ndrangheta”. C’è un’area della Calabria nella quale la libertà d’impresa, l’esercizio del voto, le regole del mercato, la concorrenza neicommerci, il consumo dei beni primari, il calcio dilettantistico appaiono disciplinati da leggi diverse da quelle dello Stato. Leggi ingannevoli imposte da “mammasantissima” di vecchia e nuova generazione, uomini capaci di condizionare ogni aspetto della vita pubblica usando la violenza e le minacce. È il quadro drammatico che emerge da una monumentale indagine dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Cosenza culminata nell’arresto di 23 persone. Intercettazioni, accertamenti bancari e societari, dichiarazioni di collaboratori di giustizia rivelano uno spaccato segnato dall’invasiva presenza di una cosca famelicamente imprenditrice che impone agli esercizi pubblici il consumo di miscele di caffè e di prodotti da panificazione; che s’aggiudica il monopolio nella distribuzione delle acque minerali; che s’ingerisce nelle società di vigilanza privata; che vuol mettere il naso nella politica locale; che utilizza una compagine sportiva per riciclare somme provento di attività illecite; che piazza i videopoker nei bar. La “mafia imprenditrice” di cui la Dda di Catanzaro ipotizza l’esistenza nell’area compresa tra Rossano e Corigliano, ha il volto di Nicola Acri, detto “occhi di ghiaccio”, condannato all’ergastolo per omicidio e attualmente detenuto in regime di 41 bis; e di Salvatore Morfò, giudicato in via definitiva per omicidio ma rimasto per lunghi periodi in libertà a causa del differimento di pena (15 anni) dovuto alle precarie condizioni di salute lamentate al cospetto della magistratura di sorveglianza.
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