Un nuovo sisma giudiziario ha piegato in due l’architrave su cui poggiava il “modello Rende”. I danni prodotti dalla violenta scossa vengono quantificati in queste ore a Catanzaro, nelle stanze della Dda. Il terremoto è stato scatenato dal blitz mattutino che ha riportato la Dia e i carabinieri in Municipio, su mandato della Procura distrettuale di Catanzaro. Il teorema del pm antimafia Pierpaolo Bruni che va delineandosi segue una rotta precisa: a Rende la ’ndrangheta potrebbe aver flirtato con la politica. Ombre e sospetti che riporterebbero a galla temi spigolosi già affiorati qualche mese fa, indagando sull’ex sindaco Umberto Bernaudo e sull’ex assessore Pietro Ruffolo (entrambi, poi, “scagionati” dalla Cassazione). Un intreccio maleodorante che la magistratura conta di approfondire, a breve, esplorando quella valanga di carte acquisite nel corso delle perquisizioni di ieri. Controlli eseguiti dai carabinieri del Reparto provinciale, guidati dal colonnello Vincenzo Franzese, e dagli investigatori della Dia, al comando del vicequestore Antonino Cannarella. Gli atti prelevati nei vari uffici potrebbero confermare la pista, per adesso solo immaginata, di una ’ndrangheta silenziosa in affari con le istituzioni. Uno scenario inquietante che riaccende i riflettori sulle ipotetiche infiltrazioni delle cosche nella pubblica amministrazione. Dalle carte dell’inchiesta “Terminator” sarebbero già affiorati rapporti ed erogazioni pubbliche in favore di familiari di boss e picciotti della ’ndrangheta cosentina. Uno spaccato dettagliatamente descritto nel decreto di perquisizione che è stato notificato ieri mattina a sette persone e a tre imprese commerciali. Nel mirino della Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Vincenzo Antonio Lombardo, ci sono, in particolare, il controllo delle mense scolastiche comunali e gl’interessi legati a un bar. Sotto la lente sono finiti perciò: Silvana Ruà, sorella del presunto boss recluso da anni; Adriano e Giuseppe Moretti, entrambi volti noti negli archivi della polizia giudiziaria; Concettina Capparelli, compagna di Giuseppe Iirillo, inteso come “a Vecchiarella”, sorvegliato speciale; Ida Cundari, figlia della convivente di Ettore Lanzino, il “capo dei capi” della ’ndrangheta di Cosenza; e Maria Brunella Patitucci, sorella di Francesco, indicato come il presunto reggente della cosca rendese. Sotto la lente degli investigatori, due società e un bar in rapporti col Municipio di Rende nonostante quel loro presunto ancoraggio familiare ad apparati delinquenziali. Si tratta della società “Ristomax”, vincitrice, nel 2011, della gara d’appalto ad evidenza pubblica per la gestione delle mense scolastiche nel comune di Rende; della “Il Melograno”che lo stesso appalto se lo era aggiudicato, invece, un anno prima; e de “L’isola del bar” che successivamente è diventato “Colibrì”, aperto in locali comunali e dato in gestione, con una gara d’appalto, alla moglie di Adolfo D’Ambrosio, anche lui considerato vicino, secondo quanto emergerebbe dalle indagini, al clan Lanzino. Troppi gli intrecci fiutati in questa inchiesta dal pm Bruni. Il magistrato ha deciso di esplorare gli interstizi delle procedure amministrative legate all’assegnazione dei servizi attraverso l’ordine di esibizione di atti relativi alle relazioni tra il Comune e le tre imprese commerciali perquisite e a una quarta attività, il circolo ricreativo “Villaggio Europa”. L’obiettivo della Procura antimafia è quello di verificare eventuali rapporti tra amministratori e funzionari municipali con le “coppole”. L’inchiesta ruota attorno al superboss Ettore Lanzino e ai suoi due colonnelli Francesco Patitucci e Michele Di Puppo. Con loro è finito all’attenzione degli inquirenti anche Adolfo D’Ambrosio, considerato “amico degli amici”. Lanzino, Patitucci e Di Puppo rappresenterebbero i vertici di una cosca potente che governa ancora oggi, attraverso gli attuali “reggenti”, la città e il suo hinterland. Un clan con solide ramificazioni a Tarsia, Paterno, Rende e, naturalmente, Cosenza. Nei giorni scorsi, Patitucci e Di Puppo sono stati condannati a sei anni ciascuno, per estorsione aggravata dal metodo mafioso, col rito abbreviato dal gup distrettuale, Gabriella Reillo. Lo stesso giudice ha, invece, assolto da tre omicidi, Lanzino. D’Ambrosio era stato, invece, condannato a tre anni e mezzo di reclusione nel processo nato dall’inchiesta “Twister”. La nuova irruzione della Dda a Palazzo di città e la presenza negli uffici comunali ormai da tempo della Commissione d’accesso antimafia avrebbero convinto il sindaco Vittorio Cavalcanti a riflettere sull’opportunità di restare ancora alla guida amministrativa di Rende. Nelle prossime ore sapremo.
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