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Sterminò la famiglia,
a giudizio con il
rito abbreviato

Le tracce dell’orrore sono quelle rimaste nella casa di contrada “Ficara del Rosario” di Villapiana. Quelle pareti domestiche, trasformate in recinto, conservano il ricordo d’una strage in famiglia. La storia assurda d'una madre che avrebbe imbracciato un fucile per sterminare la propria stirpe. Domenica Rugiano, 54 anni, casalinga, sarebbe il killer del marito Vincenzo Genovese e della figlia Rosa. Li avrebbe uccisi una dopo l’altro. La Procura di Castrovillari, guidata da Franco Giacomantonio, dopo aver definito le indagini preliminari aveva chiesto il giudizio immediato nei confronti della donna. Una istanza bloccata dal collegio della difesa (formato dagli avvocati Giuseppe Zumpano, Francesco Nicoletti e Rosellina Verbaro) che ha già depositato l’atto con la scelta, da parte dell’imputata, del rito alternativo del giudizio abbreviato davanti al gup Anna Maria Grimaldi. La data del processo verrà fissata nei prossimi giorni. In aula, probabilmente, ci sarà anche l’a ltra figlia della presunta assassina, sposata e, forse per questo, scampata alla mattanza. Avanzi d’una famiglia che non c’è più, cancellata dalla follia. Nelle carte del pm Maria Grazia Anastasia è contenuta la trama misteriosa di quella mattina di aprile di un anno fa. Un giorno triste che avrebbe finito per cambiare per sempre il corso della storia familiare dei Genovese. Le indagini sul massacro di Villapiana cominciarono da una telefonata disperata d’un cercatore d’asparagi che s’i mbattè per caso in quell’orrore. Cercando tra i rovi notò quell’uomo robusto in ginocchio davanti alla panchina. Era fermo, immobile, di pietra. Provò inutilmente a chiamare qualcuno ma dalla casa non arrivò risposta. Solo l’i nquietante silenzio che spinse l’uomo a chiamare il 112. L’inchiesta partì da lì e dalle contraddizioni della donna, unica superstite a quel massacro. Domenica raccontò ai carabinieri del colonnello Francesco Ferace quello che credeva d’aver visto e sentito. Parlò d’una setta e d’un uomo senza volto che lei giurò d’aver visto fuggire dopo aver seminato la morte «e ha sparato, pure, a me». Dichiarazioni che ritrattò, poi, a distanza di qualche ora, davanti al pm Anastasia, salvo ripescarle in sede d’i n t e rrogatorio per la convalida del fermo, davanti al gip Carmen Ciarcia, qualche giorno dopo. Ma proprio Domenica avrebbe fornito agl’inquirenti la chiave di lettura della strage, ancorando il movente al rancore personale verso quel marito “padrone” al cui fianco lei aveva vissuto e sofferto. E così il 27 aprile dello scorso anno avrebbe deciso di eliminare la fonte del suo dolore interiore imbracciando quel fucile che tenevano in casa legalmente e lo utilizzavano per scacciare le bestie. Un calibrio dodici che lei stessa aveva imparato a impugnare. La ricostruzione del massacro comincia proprio dall’u l t imo gesto d’affetto della moglie verso il marito. Quella mattina, Domenica avrebbe accompagnato l’uomo in giardino perchè da solo lui non era in grado dal momento che deambulava con le stampelle. Poi, sarebbe tornata sui suoi passi a recuperare la “d o ppietta” da utilizzare contro il compagno. Due colpi sparati da distanza ravvicinata che piegarono Vincenzo rimasto in ginocchio davanti alla panchina. Immobile come una delle piante che l’uomo amava accarezzare nei suoi campi. Domenica avrebbe ricaricato in fretta la “doppietta” d irigendosi all’interno dell’a b itazione. Intanto, Rosa, che stava dormendo in camera sua, potrebbe essere stata svegliata dalle deflagrazioni dei colpi che avevano già ucciso suo padre. Seduta in mezzo al letto avrebbe chiamato Domenica, l’unica persona che sapeva in casa: «Mamma, mamma, che sta accadendo?». L’imputata sarebbe entrata nella stanzetta della figlia e le avrebbe sparato un colpo alla gamba, da distanza ravvicinata. Rosa, ferita e impaurita, si sarebbe alzata, forse per scagliassi contro la madre, nel tentativo di difendersi e disarmarla. O, più probabilmente, per fuggire, scappare dalla morte. E, forse, in questo frangente potrebbe essere partito il colpo che ha ferito Domenica alla schiena. Quindi, la cinquantaquattrenne potrebbe aver ricaricato ancora il fucile sparando il colpo che la ferì e le fece perdere molto sangue. I carabinieri del reparto provinciale, guidati dal colonnello Vincenzo Franzese la trovarono a letto, svenuta ma ancora in vita. Uno scenario che è stato ricostruito dalla Procura mettendo insieme, uno dopo l’altro, i mattoni dell’i nchiesta arricchita dalle prove che l’anatomopatologo Walter Caruso aveva raccolto sui cadaveri di Vincenzo e Rosa e che il criminalista Luca Chianelli aveva cercato nella villetta dei Genovese.

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