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La sepoltura di Panaro
non venne registrata

 Il cimitero dei misteri. Non c’è traccia dell’inumazione dei resti di Pompeo Panaro agli atti del camposanto di Paola. Sui registri mancano i documenti riferiti al seppellimento. Documenti che, peraltro, non sono custoditi neppure negli uffici del comune tirrenico. In municipio, infatti, l’uomo risulta oggetto di una dichiarazione di “morte presunta” risalente al 1994. Una morte che di “pre - sunto” non ha invece un bel nulla perché nel 1984 il cadavere di Panaro venne ritrovato e restituito, con atto formale, ai familiari. Il pm antimafia Pierpaolo Bruni dopo aver riaperto le indagini sull’assassinio del commerciante e consigliere comunale democristiano di Paola, si sta scontrando con oscure incongruenze. Gl’in - vestigatori della Mobile stanno faticosamente tentando di ricostruire quanto accadde dopo la scomparsa per lupara bianca della vittima, avvenuta la sera del 28 luglio 1982. Oggi verrà sentito l’uomo che prese in consegna l’in - volucro contenente le parti di corpo rinvenute dalla polizia durante degli scavi compiuti alla periferia di Paola. Fu un fratello dell’ucciso con atto formale firmato dal sostituto procuratore della Repubblica dell’epoca, Luigi Belvedere, il 10 febbraio del 1984, a ritirare la teca che custodiva le ossa di Panaro. L’atto reca il numero 1297/82 R.G. e fa parte del fascicolo relativo all’omicidio che la polizia istruì dopo il delitto. E fu, invece, il commissario Antonio Cappelli a ritrovare il cadavere. Il funzionario di polizia dirigeva il commissariato ed era uno “sbirro” all'antica che lavorava con le “fonti”. Cappelli ricevette una telefonata il 15 giugno del 1983 con la quale uno sconosciuto interlocutore l’informa - va che Pompeo Panaro era stato ucciso e bruciato eppoi sepolto in una buca scavata in località “Tri - foglio” di Paola, vicino ad uno dei serbatoi dell’acquedotto comunale. E in effetti compiuto un immediato accertamento, Cappelli ed i suoi uomini trovarono, sotto la terra ancora intrisa di materiale combusto, un osso, delle ciocche di capelli, frammenti di tessuto di pantaloni e una lattina contenente residui di liquido infiammabile. C’era pure una chiave – che risulterà essere la chiave del portone d’accesso di un magazzino di proprietà di Panaro – e, poco distante, un piccone con il manico spezzato. Tutto venne catalogato e consegnato alla magistratura. L’anno dopo i resti furono dati alla famiglia. E non si seppe più nulla. Paolo Panaro, figlio di Pompeo, che con le sue denunce ha determinato la riapertura del caso, è convinto che le ossa del padre siano nascoste all’interno di un anonimo loculo nel cimitero di Paola. Un loculo che il pm Bruni sarebbe pronto a far ispezionare.

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