La “mattanza” delle donne. È la sera del 16 febbraio 2011. Diluvia. Lampi sinistri urlano al cielo, mentre la pioggia scrosciante sembra voler lavare il sangue e l’orrore. Gente terrorizzata si nasconde dietro le tapparelle, mentre i lampeggianti delle “Gazzelle” illuminano sinistramente le stradine deserte. Il silenzio spettrale è rotto solo dalle raffiche di vento gelido che s’infrangono contro le imposte serrate. Al terzo piano d’una palazzina popolare giacciono due cadaveri sfigurati. Madre e figlia. I corpi sono a poca distanza l’uno dall’altro, crivellati di pallottole. Il piombo caldo ne ha squarciato le carni. Rosellina Indrieri, 45 anni, è riversa sul pavimento, Barbara, 25, ha gli occhi sbarrati che fissano il vuoto dal davanzale del balcone in cui è rimasta impigliata. Il fratello ventiquattreenne, Silas De Marco, respira a fatica e si copre il volto con le mani. È scioccato e perde liquido ematico in grande quantità. La scena trasuda odio. Rivela gli oscuri dettami d’una crudele punizione. Appare come il compimento di una malvagia vendetta. Affidata alla ferocia di uomini in preda al più cupo dei deliri. Le vittime sono infatti la cognata ed i nipoti di Aldo De Marco, arrestato un mese prima perché responsabile dell’assassinio di Domenico Presta, figlio del superboss Franco Presta. Alla “mattanza” compiuta nella casa di San Lorenzo del Vallo, è miracolosamente sfuggito Gaetano De Marco, 54 anni, fratello dell’omicida, che al momento dell'irruzione dei killer dormiva, stordito dai fumi dell’alcol, in un’altra stanza. Nell’abitazione stravolta dalla belluina violenza, la televisione ha continuato a gracchiare fino all’arrivo dei carabinieri. La porta sfondata ha subito rivelato agli investigatori quanto una telefonata aveva confusamente annunciato: “Correte, correte, hanno sparato, le hanno ammazzate!”. Gli assassini erano in due, con il volto coperto da passamontagna, armati di fucile a canne mozze e pistola calibro 9. Sono arrivati in auto, hanno forzato la porta d’ingresso con una fucilata e aperto il fuoco senza dire una parola. I vicini hanno solo sentito detonazioni e urla disperate. Le urla delle donne massacrate. E i lamenti dell’altro figlio di Rosellina Indrieri, Silas, colpito pure lui al braccio e al fianco sinistro. Il padre, Gaetano, pallido e basito, ormai incapace di parlare, è stato trovato accanto ai cadaveri. In lacrime. La vettura usata dai killer per fuggire, un’Audi Avant, è stata poi rinvenuta bruciata, vicino una stazione di servizio, lungo la strada Statale delle Terme che collega San Lorenzo del Vallo a Spezzano. All’interno c’erano le armi utilizzate dal commando. Sulla matrice della vendetta di stampo mafioso, i magistrati inquirenti non sembrano dall’inizio nutrire dubbi. I sospetti si concentrano su Franco Presta, ma non ci sono prove. Passano poche settimane e il sangue riprende a scorrere. Il sette aprile del 2011, a San Lorenzo del Vallo, su corso Mancini, Gaetano De Marco unico scampato alla strage non sfugge questa volta alla furia vendicatrice. Due killer in sella ad una moto affiancano la Fiat Punto su cui viaggia e lo ammazzano con sette colpi di pistola calibro 9 per 21. Sono le 8,30 del mattino e nessuno vede niente. Le indagini sulla strage di San Lorenzo e l’omicidio di De Marco rimangono in stallo sino al 31 luglio del 2012, quando Silas De Marco chiede di essere interrogato dal pm antimafia Vincenzo Luberto. La sua è una confessione liberatoria. «Non ho riferito nulla prima di oggi circa il riconoscimento degli sparatori – dice Silas – perché ero sconvolto, avevo visto la morte in faccia ed avevo visto morire mia madre e mia sorella. Ero sicuro che una mia collaborazione mi sarebbe costata la vita anche in considerazione del fatto che Franco Presta era libero e le forze dell’ordine non riuscivano ad arrestarlo. Solo dopo la cattura di Presta ho trovato la forza di dire la verità». La diga del silenzio crolla. E il giovane riconosce formalmente come i sicari dei propri familiari, Francesco Salvatore Scorza, 32 anni, di Castrovillari e Domenico Scarola, 28, di Tarsia. Il primo è figlio di Costantino Scorza, uomo ritenuto vicino a Franco Presta, coinvolto lo scorso anno in una operazione anti ‘ndrangheta, l’altro è per gli investigatori un illustre sconosciuto. Silas De Marco spiega agli inquirenti di aver riconosciuto dallo sguardo e dal particolare modo di camminare lo Scorza. «Lo conosco da sempre–precisa – cammina in un modo particolare, abita nella palazzina di fronte alla mia e siamo cresciuti insieme». La vittima-testimone rivela pure di aver individuato in Scarola, grazie alle folte e nere sopracciglia che spuntavano dalla calza di nylon, l’uomo che imbracciava il fucile. Il ventottenne – secondo il teste d’accusa –era spesso in compagnia di Domenico Presta (il figlio del boss ucciso). Scorza e Scarola, che si protestano innocenti, sono comparsi in Corte d’assise ieri mattina. I due imputati, difesi dagli avvocati Luca Acciardi, Lucio e Carlo Esbardo, dovranno fare i conti con il testimone d’accusa e superstite della strage che si è costituito parte civile, assistito dall’avvocato Antonella Benedetti. Ma non è finita. Perché ha chiesto di costituirsi in giudizio anche Aldo De Marco, condannato per l’omicidio di Domenico Presta. La Corte (presidente Antonia Gallo) ne deciderà la eventuale ammissione come parte civile il 31 maggio prossimo.
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