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Il pentito Converso
vittima di un “incidente”

Una morte sospetta. È il 22 giugno del 2012. Sul pavimento d’una cella del carcere di Busto Arsizio, giace riverso il corpo senza vita di Giampiero Converso, 45 anni, pentito di ‘ndrangheta e “azionista” delle cosche di Corigliano. L’allarme nel penitenziario scatta su segnalazione di alcuni detenuti. Il personale di sorveglianza allerta subito la Procura e arrivano sul posto un magistrato inquirente e un medico legale. Sul cadavere del collaboratore di giustizia non ci sono segni di violenza. Non sembra un omicidio ma neppure un suicidio. Viene disposta l’autopsia. L’esame necroscopico rivelerà che il decesso è stato causato dalla inalazione del gas di una bomboletta utilizzata per cuocere del cibo. Una inalazione volontaria non destinata, però, nelle intenzioni di Converso a provocare la morte. L’ex ‘ndranghetista, d’altronde, non aveva manifestato ai familiari propositi suicidi, né era apparso ai compagni di detenzione ed al personale del Dap in condizioni di prostrazione psichica. Dunque, potrebbe essersi trattato solo di un “incidente”. È probabile che l’inalazione del gas fosse uno dei metodi – è più volte stato riscontrato in passato –adottato per “evadere” mentalmente surrogando l’effetto di stupefacenti. Esclusa dunque pure l’ipotesi di una istigazione al suicidio e non potendosi considerare in alcun modo negligente l’attività di sorveglianza esercitata dalla Polizia penitenziaria, il caso appare adesso destinato all’archiviazione. È stato infatti dimostrato che la bomboletta utilizzata dal quarantacinquenne era “regolamentare”, cioè detenibile in carcere. Giampiero Converso era stato arruolato alla fine degli anni ‘80 dal clan un tempo guidato da Santo Carelli. La scelta di collaborare con la giustizia risaliva al 22 settembre del 2004. L’uomo, in quell’occasione, spiegò ai magistrati di essersi pentito perchè temeva di essere assassinato. La sua tragica fine in carcere ricorda quella di altri detenuti cosentini. Nel tardo pomeriggio di sabato due giugno 2007, all’interno del supercarcere de L’Aquila, s’impiccò ill quarantaseienne Carmelo Chirillo, “uomo di rispetto” di Paterno Calabro. L’undici agosto del 2010 s’uccise, invece, nella sua cella del carcere di Rebibbia, Riccardo “Cesarino” Greco all’epoca imputato di un omicidio commesso a Cosenza. Il 18 dicembre del 2010, si tolse infine la vita nel supercarcere dell’Aquila, un altro coriglianese: si chiamava Pietro Salvatore Mollo. S’impiccò nella cella dove era recluso in regime di 41 bis, adoperando i lacci della tuta da ginnastica.

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