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Cassazione, assolto
il boss condannato
per sbaglio

forestefano

Condannato per sbaglio. La corte d’appello di Catanzaro il 28 gennaio 2011 aveva giudicato Tonino Forastefano (classe 1971) anche per un prestito a strozzo che in realtà non aveva mai concesso. L’avrebbe fatto suo cugino, che come lui si chiamava Antonio, ma era del 1956 ed è morto da quasi quattordici anni. I killer lo uccisero una manciata di minuti prima delle 21 del 27 luglio 1999 a Marina di Sibari. Antonio Forastefano era appena uscito dalla pescheria di famiglia nella piazzetta del villaggio turistico ionico, mettendosi alla guida della sua Mercedes 250 nera per uscire dalla località di vacanza, quando fu crivellato di proiettili. Il prestito usurario contestato nell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione Omnia risale agli anni precedenti al 2000. Quando, perciò, Antonio Forastefano era ancora in vita. Non lo era più da tempo, invece, il 10 luglio 2007, quando i carabinieri del Ros di Cosenza eseguirono il provvedimento restrittivo vergato dal gip distrettuale di Catanzaro, su richiesta della procura antimafia, nell’ambito dell’operazione Omnia. Un blitz imponente che sgominò il clan Forastefano. La svista della corte d’a ppello catanzarese è stata portata a galla durante il processo dinanzi alla Cassazione dall’avvocato Loredana Gemelli, del Foro di Torino, difensore di Tonino Forastefano, il quale, infatti, relativamente a questo episodio specifico, ha ottenuto dalla suprema corte l’annullamento della sentenza di secondo grado senza alcun rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Catanzaro, come invece successo per altri reati che nella stessa ordinanza di custodia cautelare sono contestati a Tonino Forastefano come agli altri presunti boss e picciotti affiliati al clan, di cui proprio Tonino era considerato il capo prima che decidesse di valicare il Rubicone della giustizia, cominciando a collaborare con la direzione distrettuale antimafia catanzarese che nella Sibaritide è coordinata dal sostituto procuratore Vincenzo Luberto. È giunta giovedì pomeriggio la decisione degli ermellini, i quali hanno accolto anche le richieste del procuratore generale, annullando tutte le ventotto condanne inflitte in secondo grado dalla corte di appello, rinviando le carte ad un’altra sezione dei giudici catanzaresi. Lungo e intenso l’elenco delle accuse che la procura antimafia contesta, a vario titolo, agli imputati: rapina, estorsione, usura, truffa ai danni dell’Inps e di società finanziarie, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, somministrazione di manodopera clandestina alle aziende ortofrutticole della zona.

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