C'e Nicola Femia, conosciuto anche come 'Rocco' e ritenuto un importante boss 'ndranghetista al vertice dell'organizzazione smantellata dalla Gdf, coordinata dalla Dda di Bologna, che faceva profitti con il gioco illegale on line e con le videoslot manomesse. Oltre alle 29 ordinanze di custodia cautelare, 19 delle quali in carcere, emesse dal Gip Bruno Perla, sono 150 le persone indagate e altrettante le perquisizioni tra Milano, Roma, Ravenna, Napoli, Reggio Calabria, Cosenza, Torino, Asti, Biella, Bergamo, Macerata, Teramo, Potenza, Modena, Parma, Brescia, Cagliari, Palermo, Messina, Lucca, Benevento, Treviso, Vicenza e Viterbo. Tra gli arrestati, oltre ai due figli di Femia, Rocco Maria Nicola e Guendalina, e il genero Gianalberto Campagna, vi sono un sottufficiale della Finanza di Lugo di Romagna, un altro ex militare sempre della Gdf e un ex ispettore della polizia di stato, accusati di dare informazioni 'dall'internò all'organizzazione criminale.
Secondo quanto accertato dalle indagini del Gico di Bologna - che ha lavorato sotto il coordinamento del Procuratore capo Roberto Alfonso e dei sostituti Francesco Caleca e Marco Mescolini - l'organizzazione si occupava principalmente di due attività. La prima, il gioco illegale su internet, aggirando le regole italiane attraverso connessioni a siti esteri, in particolare in Inghilterra a Romania: per fare un esempio del denaro che girava, da una perquisizione informatica ad uno dei siti creati, è risultato che aveva raccolto in soli sette mesi oltre 40 milioni di euro di giocate. Il danno erariale ammonta, in questo caso, a circa 1,2 milioni. In secondo luogo, la manomissione di videoslot, in bar e sale giochi: venivano alterate le schede all'interno in modo da nascondere i reali volumi di gioco, eludere i controlli e così lucrare sui soldi destinati ai Monopoli di Stato. Inoltre è stato accertato che Femia, che ha a suo carico una condanna in appello a 23 anni per traffico di stupefacenti - ricorreva sistematicamente all'intestazione fittizia di beni, affidandosi a prestanome per poter gestire comunque le proprie attività. Il 'meccanismo' messo in piedi, tenuto in mano dal capo e dai familiari, prevedeva anche il ricorso ad estorsioni, nei confronti di persone che partecipavano, ma che rimanevano indietro coi pagamenti o che non restituivano quello che si riteneva dovessero ai propri superiori. Proprio da un episodio del genere, nel febbraio 2010 sono scattate le indagini: un marocchino venne sequestrato e picchiato da tre persone di origine calabrese. Lo straniero ebbe il coraggio di denunciare, e l'approndimento della Finanza ricollegò i tre a Femia, originario di Santa Maria del Cedro (Cosenza), dove la 'cosca' che porta il suo cognome è ritenuta dominante. I sequestri hanno interessato 18 macchine, alcune di lusso, 128 immobili (tra appartamenti e sale giochi), tra cui la villa nel ravennate dove risiede il boss dal 2002, 30 rapporti bancari, 21 società e 1.500 schede. (ANSA).