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"A quel giornalista
spariamo in bocca"

giovanni tizian

A un anno dall'assegnazione della scorta a Giovanni Tizian, il pericolo mortale per il trentenne cronista anti-mafia si materializza in tutta la sua durezza: "O la smette o gli spariamo in bocca". La telefonata è di poco successiva al 17 dicembre 2011, quando Tizian scrisse un articolo sulla Gazzetta di Modena che non piacque ad un boss, Nicola Femia, detto 'Rocco'. Pregiudicato - a Santa Maria del Cedro (Cosenza) c'é una 'cosca' col suo nome - da anni gestisce gli 'affari' dalla provincia di Ravenna, dove è sottoposto ad una misura. L'articolo non gli garbò, perché emergeva il suo nome legato alla 'ndrangheta, e cosi' se ne lamentò con un faccendiere piemontese, Guido Torello, esperto nel 'vendere relazioni', come si vanta in un'altra conversazione. Entrambi sono stati arrestati oggi, con altre 27 persone, in una maxi-operazione della Guardia di Finanza e della Dda di Bologna contro il gioco e le slot illegali gestite dalla criminalità organizzata. E' questa l'occasione per divulgare la terribile intercettazione. "Non avevo mai sentito l'audio e mi fa impressione. Mi fa impressione la tranquillità con cui ne parlano, come se fosse un piano industriale", dice oggi Tizian. Perché, in effetti, quando Femia espone il problema al faccendiere, colpisce la risposta immediata, quasi burocratica di Torello: "Va bene, mi dici come si chiama il giornale e il nominativo. E lo facciamo smettere immediatamente. Ci penso io". Se c'é un giornalista che rompe le scatole non c'é da preoccuparsi: "Vedi che glielo faccio dare in bocca. Sappi una cosa, che ci sono due poteri in Italia, la magistratura e i giornali", è la lezione che si sentì di dare. E Femia rispose: "Lo so, il giornale è peggio". Non emersero ulteriori riscontri. Anche perché la Procura si attivò subito in modo che al giornalista venisse data protezione: la notizia uscì a inizio gennaio e Tizian da allora é diventato uno dei simboli della lotta alle mafie. Calabrese della Locride, si era trasferito con la famiglia a Modena dopo che suo padre venne ucciso, nel 1989, a colpi di lupara. Ma in Emilia, ha sempre detto, raccontava le stesse logiche che vedeva giù. Alla Gazzetta di Modena. E anche ora, che lavora per il gruppo Espresso da Roma. "Continuerò a fare inchieste, a raccontare quel che c'é da conoscere perché i cittadini possano formare la propria coscienza. E certi personaggi, anche quelli insospettabili, non abbiano più dignità in questo paese", dice il giornalista. E oggi, come un anno fa, la solidarietà per lui dilaga: da twitter dove è stato ricreato l'hashtag '#iomichiamogiovannitizian', con il quale tantissimi, noti e meno noti, gli hanno espresso vicinanza. Poi dall'ordine dei giornalisti e da tanti leader. "Grazie a Giovanni per come ha fatto e continua a fare il suo mestiere - dice il 'suo' direttore alla Gazzetta di Modena Enrico Grazioli - e perché ha dato negli anni, nel silenzio e anche nella paura, un senso alla nostra professione". (ANSA).

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