Faide, estorsioni, agguati, danneggiamenti. E poi le “mani in pasta” negli enti locali, quasi piegati alla volontà della cosca che esercitava il controllo totale sugli appalti pubblici. È la storia della mafia di Ariola, anni di violenza, sparatorie, intimidazioni e omicidi. È la storia criminale delle Preserre Vibonesi ricostruita nei particolari dalla Distrettuale antimafia attraverso indagini mirate condotte dalla squadra Mobile di Catanzaro –che ha agito sotto le direttive del vice questore Rodolfo Ruperti – e coordinate dal sostituto procuratore generale Marisa Manzini, il magistrato che in passato ha seguito le complesse dinamiche della ‘ndrangheta vibonese. Ieri, a distanza di circa un anno da quell’operazione, denominata “Light Woods”(Luce nei boschi), nel corso dell’udienza preliminare, tenutasi nell’aula bunker di via Paglia a Catanzaro davanti al gup Gabriella Reillo, il sostituto procuratore generale ha chiesto per tutti gli indagati il rinvio a giudizio, facendo leva su solide fonti di prova attraverso le quali è stata scritta per la prima volta l’evoluzione del “locale” di ‘ndrangheta di Ariola (frazione di Gerocarne) che avrebbe esteso i suoi tentacoli anche nei comuni di Soriano, Sorianello, Vazzano, Pizzoni, Arena, Dasà e Acquaro. Le persone coinvolte nell’operazione – scattata il 25 gennaio dello scorso anno –sono 43, sedici delle quali hanno chiesto di essere ammessi al giudizio abbreviato, (per alcuni condizionato all’escussione di alcuni testimoni). Posizioni che cominceranno ad essere esaminate il 20 febbraio. In questo caso il giudice potrebbe mettere in agenda una serie di udienze che molto probabilmente potrebbero andare avanti per tutto il mese di marzo. Fra dieci giorni (21 gennaio), si tornerà in aula ma per continuare con le discussioni degli avvocati della difesa, già iniziate ieri con l’intervento dell’avvocato Giovanni Marafioti per conto di Antonio Altamura e Nazzareno Altamura, mentre l’avv. Annamaria Sdanganello, ha discusso la posizione di Giuseppe Gentile, accusato di turbativa d’asta aggravata dalle modalità mafiose. Sempre nell’udienza di ieri hanno rappresentato tutte le loro ragioni anche le parti civili, da Confindustria ai comuni interessati (Arena, Soriano, Sorianello, Dasà, Vazzano, Pizzoni, Acquaro e Gerocarne) per anni tenuti sotto il giogo di una cosca che ha soffocato ogni attività e limitato gli spazi delle libertà di comunità oneste e laboriose. Per dare forza alla già corposa attività probatoria, il sostituto procuratore generale Marisa Manzini al termine della sua requisitoria ha fornito al gup anche alcune sentenze della Cassazione attraverso le quali sono state confermati i provvedimenti del gip distrettuale e quindi le tesi della Dda di Catanzaro. Gli indagati a vario titolo debbono rispondere di associazione mafiosa, omicidio, estorsioni e danneggiamenti. Nel fascicolo del giudice Reillo, a tempo di record, anche il dispositivo di sentenza emesso dalla Corte d’Assise nei confronti di Bruno Emanuele di Gerocarne ritenuto il responsabile di due omicidi avvenuti nella Sibaritide tra il 2003 e il 2004. Fatti di sangue compiuti, secondo quanto emerso, per conto dei Forastefano di Cassano.
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