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Le navi dei veleni e
il pentito... smentito

  Il pentito smentito. Francesco Fonti ha incassato, prima di morire, una serie di clamorose smentite e di denunce. Nessuna delle tre navi che assumeva d’aver mandato a picco al largo delle coste calabresi è stata infatti ritrovata. E nessuno dei suoi presunti contatti con alti esponenti della politica e dei servizi segreti italiani è stato mai riscontrato. Molti sostengono che l’ex ‘ndranghetista abbia appreso tante delle cose riferite confusamente alla magistratura, dal faccendiere Guido Garelli, realmente coinvolto negli anni ‘80-‘90 in traffici di armi e di rifiuti tossici. Con Garelli è stato infatti detenuto nel carcere di Ivrea come risulta dai certificati in possesso della Direzione dell’amministrazione penitenziaria. Una delle vicende più note per le quali Fonti ha incassato la “patente” di inattendibilità risale a meno d’un lustro addietro. Tra il 2005 e il 2007, infatti, il collaboratore di giustizia provocò l'intervento della Direzione distrettuale antimafia di Potenza in due distinte aree del Materano. Al procuratore Giuseppe Galante e al pm Felicia Genovese aveva raccontato d'aver interrato centinaia di bidoni carichi di scorie radioattive. Fusti evasi dal centro nucleare di Rotondella. La Procura distrettuale lucana predispose delle verifiche articolatissime mobilitando uomini e mezzi per compiere degli scavi. Scavi che, però, non diedero alcun risultato. Le ruspe scesero nelle viscere della terra ma non trovarono neanche l'ombra di un bidone. Pochi mesi dopo, il pentito sollecitato dai giornalisti ammise candidamente di aver fornito indicazioni errate perchè non gli era stato concesso il programma di protezione. Incredibile ma vero. In una circostanza, Fonti accompagnò personalmente la polizia giudiziaria sul luogo dove sarebbero stati sepolti i fusti gonfi di scorie. Un posto diverso da quello che aveva indicato nell'ormai celebre memoriale. Naturalmente, sotto terra non fu rinvenuto niente. In quegli anni Fonti parlava di traffici di scorie radioattive dalla Lucania verso la Somalia, dell'omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell'operatore di ripresa Miran Hrovatin, di solidi legami con faccendieri e di contatti con uomini dei servizi. Tuttavia, la Commissione parlamentare d'inchiesta (la vicenda è citata nei documenti della XIV legislatura, ndr), dopo averlo escusso, per valutare la sua attendibilità, chiamò tra i commissari ed i consulenti anche Mirko Martini e Giancarlo Marocchino, persone che Fonti aveva dichiarato di conoscere molto bene. Richiestogli di riconoscerli in aula, tra i presenti, il pentito indicò persone completamente diverse. Marocchino e Martini, tra l'altro, immediatamente sentiti smentirono categoricamente d'avere mai avuto rapporti con Francesco Fonti. La circostanza che il pentito sia stato giudicato a più riprese «inattendibile», non esclude tuttavia l’e s i s t e nza dell’oscuro e inquinante sistema di smaltimento illegale dei rifiuti radioattivi di cui si ha piena conoscenza grazie ad indagini condotte in questi anni da varie procure italiane. Inchieste che, però, non hanno mai prodotto significativi esiti dibattimentali. Diversa, rispetto a quella di Fonti, e la storia di Emilio Di Giovine, ex narcotrafficante di origine reggina ma con base logistica a Milano. Il boss pentito riferì nel 2004 d’essere a conoscenza d’un traffico di rifiuti radioattivi al quale, tuttavia, non aveva preso parte personalmente. Nel 2009 disse di essere pronto a parlare di fronte alla Commissione d’i nchiesta sulle Ecomafie ma, il giorno stesso in cui la notizia della sua possibile audizione divenne pubblica, venne investito da una moto e finì per mesi in ospedale. Da allora di scorie tossiche e di smaltimento di materie radioattive non volle più saperne. Il suo avvocato, Claudio Conidi, definì l’incidente di cui era rimasto vittima un «inquietante coincidenza ». Chissà che non avesse ragione...

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